San Paolino

San Paolino

Il nome di Paolino figura per la prima volta in un diploma di Carlo Magno, datato Ivrea il 17 giugno 776 (MGH, Dipl. Karol. n° 112), in cui il sovrano concede a un Paolino definito «vir valde venerabilis e artis grammaticae magister» i beni già posseduti dal longobardo Gualando del fu Immone da Lavariano, che aveva partecipato all’insurrezione antifranca guidata nei primi mesi di quell’anno da Rodgaudo, duca del Friuli, e vi aveva perso la vita. Che il “Paulinus” in questione debba essere identificato con il futuro patriarca sembra sicuro, e non è comunque mai stato messo in discussione. L’assegnazione al “magister” sembrerebbe collegata alla sconfitta della ribellione, che seguiva di due anni l’annessione del regno longobardo da parte di Carlo, ed è stata talvolta interpretata come un segno di riconoscimento per il lealismo che Paolino potrebbe avere dimostrato nell’occasione; semplice supposizione è per altro che egli abbia fatto parte di un partito friulano favorevole ai Franchi che si era dissociato dalla rivolta. Il diploma di Ivrea dimostra comunque che Paolino era già in quel momento persona considerata affidabile e degna di stima dalla corte franca, che gli assegnava ampie proprietà proprio nella zona che si era rivelata più difficile da controllare e meno disposta ad accettare il nuovo regime. Di recente Dieter Schaller, attribuendo a Paolino il carme Regi regum (conservato nel ms Parigi, Bibliothèque Nationale, Lat. 13027), composto in occasione della celebrazione di una pasqua in presenza dell’imperatore, ha proposto di identificare tale ricorrenza in quella dello stesso anno 776 (14 aprile), quando l’imperatore si trovava a Treviso; se l’ipotesi è esatta, la concessione dei beni di Gualando di Lavariano a Paolino potrebbe essere interpretata come ricompensa per l’attività da lui svolta in tale circostanza a favore della corte, e indicherebbe il consolidarsi di un rapporto fiduciario già in precedenza avviato. Nulla sappiamo della vita di Paolino prima di questo momento. In base alla cronologia successiva della sua vita, si può supporre che egli fosse nato intorno al 730-740; l’ipotesi a suo tempo formulata da Mario Brozzi partendo da una ricognizione delle presunte reliquie che l’anno di nascita dovesse essere avanzato fino al 752-754 si è rivelata in seguito inconsistente. Era certamente di origine italiana, dato che Alcuino lo esalterà come «laus Ausoniae, patriae decus» in una sua epistola poetica inviata a Paolino quando egli era già divenuto patriarca; più difficile è dire se l’espressione “patria” debba qui essere intesa in senso restrittivo, e possa valere come indicazione che egli era originario del territorio aquileiese. A favore di un’origine friulana di Paolino potrebbe invocarsi la circostanza che l’attribuzione dei beni di Gualando, siti a Lavariano, sembra essere avvenuta dietro sua richiesta, cosa che mal si spiegherebbe se il beneficiario non avesse avuto precisi interessi nella regione; ma manca una conferma definitiva dell’ipotesi. Una tradizione popolare lo vuole originario di Premariacco, e giunge a indicarne il nome della famiglia (Saccavini). Il nome “Paulinus” è evidentemente latino; il fatto che non siano per lui attestati nomi o patronimici germanici, neppure in epoca presumibilmente anteriore all’ordinazione ecclesiastica, rende poco probabile l’ipotesi che fosse di stirpe longobarda. La sua successiva produzione letteraria, canonistica e teologica mostra che possedeva un’ottima formazione retorica, ma non si hanno notizie precise su dove essa sia stata acquisita; anche se a Cividale pare essere esistita una scuola nell’ultima età longobarda, il livello di istruzione testimoniato negli scritti di Paolino potrebbe meglio attagliarsi a una sua frequentazione di scuole di più antica tradizione, come quella certamente attiva in quell’epoca a Pavia. Successivamente Paolino fu a lungo in terra franca, dove insegnò e intrattenne strette relazioni con altri intellettuali dell’epoca collegati alla corte carolingia. Con lui può essere identificato il “Paulinus magister” di cui parla Alcuino in un carme scritto dall’Inghilterra fra il 778 e il 781, nel quale chiede scherzosamente a Carlo Magno di proteggerlo dalle sicure maldicenze dei suoi colleghi rimasti sul continente; e di quel circolo di letterati di corte che indirizzò la politica culturale ed educativa di età carolingia Paolino sembra essere entrato a far parte fra i primi. Conosciamo il nomignolo con cui egli era chiamato in questo ambiente (“Timotheus”), e sappiamo da varie testimonianze che egli godette di grande fama e autorità; attraverso la sua azione – parallela a quella di altri intellettuali italiani, come il grammatico Pietro da Pisa, Fardolfo poi abate di Saint-Denis e Paolo Diacono – l’eredità delle scuole italiane dell’ultima età longobarda venne raccolta in un nuovo progetto di più ampio respiro e contribuì a formare una tradizione culturale europea che durò poi per secoli. Relazioni particolarmente strette egli ebbe con Alcuino, che dichiarò in molte occasioni grande stima e affetto per lui e che alla sua morte compose in suo onore un lungo carme celebrativo e un più breve epitaffio, e con Arnone, vescovo di Salisburgo dal 784; sappiamo che fra i suoi allievi vi fu Angilberto, che per la sua importanza fra i poeti della corte carolingia ricevette l’appellativo di “Homerus”. Non conosciamo tuttavia più precisi dettagli sul periodo in cui Paolino visse in terra franca, anche perché di lui non è conservato – come nel caso di Alcuino – un epistolario che permetta di esaminare dall’interno la vita e la personalità dell’autore. Anche stavolta nuova luce sulla sua attività a corte potrebbe essere gettata se fosse confermata l’attribuzione a Paolino, anch’essa proposta da Schaller, di un’altra poesia, il Carmen de conversione Saxonum. Si tratta di un carme composto per celebrare le vittoriose spedizioni di Carlo contro i Sassoni, la cui conseguenza sul piano religioso era l’avvio di una politica di conversione forzata della popolazione germanica sottomessa. Se il Carmen fosse effettivamente di Paolino, avremmo un’indicazione della sua partecipazione al campo tenuto a Paderborn nel maggio 777, dove ebbero luogo le prime conversioni di massa e più netta risulterebbe la sua fisionomia di cantore di corte cui erano affidati temi di carattere politico e celebrativo. Questa fisionomia diventerebbe ancor più significativa se a Paolino andasse attribuito – come più cautamente propongono ancora Schaller e Francesco Stella – pure l’epitaffio composto per la morte di Lotario, figlio di Carlo defunto in tenera età nel 778. Se poi andasse identificato con il nostro anche quel “Paulinus” di cui parla una lettera di papa Adriano I del 781 come intermediario fra Carlo e il pontefice nella trasmissione di un documento di carattere conciliare, poi rivelatosi falso, risulterebbero attestati già a quest’epoca i suoi interessi dottrinali; Dag Norberg ha del resto evidenziato l’esistenza di paralleli stilistici nella prosa di Paolino e nelle lettere papali dell’epoca di Adriano, che sembrano implicare quanto meno una reciproca conoscenza. Il soggiorno di Paolino in terra franca ebbe termine quando egli fu nominato patriarca di Aquileia, probabilmente nel 787; la nomina venne certamente effettuata dall’autorità regia, e non derivava da un’elezione da parte del clero locale. L’area aquileiese, posta all’estremo confine del regno franco verso i territori degli Slavi e degli Avari, non ancora cristianizzati, stava diventando sempre più importante dal punto di vista strategico. Sul piano dell’amministrazione civile, Carlo aveva nominato in Friuli un margravio franco in luogo dell’antico duca longobardo, per evitare il ripetersi di rivolte nazionalistiche come quella di Rodgaudo; sul piano ecclesiastico, la nomina di Paolino rispondeva ugualmente all’esigenza di assicurare alla monarchia l’alleanza del patriarcato, retto fino a quel momento, a quanto sappiamo, dal longobardo Sigualdo, che si era dimostrato tiepido verso il nuovo regime. Nominando un patriarca fidato e consapevole delle linee di politica culturale e religiosa carolingie, la corte si procurava inoltre un appoggio decisivo per avviare verso gli Avari e gli Slavi la stessa politica della spada e della croce già sperimentata con i Sassoni; una politica di cui si erano già poste le premesse nel 784 con la nomina di un altro prelato di sicura fedeltà, Arnone, a vescovo di Salisburgo, l’altra sede metropolitana coinvolta nell’espansione verso oriente e nell’evangelizzazione dei relativi popoli. L’attuazione del programma di espansione non si fece attendere: nel 791 Carlo e suo figlio Pipino, che aveva il titolo di re d’Italia, condussero due vittoriose spedizione parallele contro gli Avari, partendo rispettivamente dalla Baviera e dal territorio aquileiese. Nella sua nuova veste di patriarca, Paolino fu uno dei protagonisti della vita religiosa del regno carolingio, e si guadagnò fama di teologo autorevole e di saggio pastore; né mancò di svolgere delicati incarichi per conto del sovrano (abbiamo notizia di un suo intervento come “missus dominicus”, insieme ad Arnone di Salisburgo e Fardolfo di Saint-Denis, per dirimere una controversia relativa a un’abbazia dell’area pistoiese in un’epoca imprecisata). Nel 792 partecipò al sinodo di Ratisbona nel quale venne per la prima volta condannata la dottrina adozionista, predicata in Spagna da Elipando di Toledo e Felice di Urgell; in questa circostanza, Carlo Magno riconfermò al patriarcato di Aquileia il possesso dei beni ad esso conferiti dai sovrani longobardi, rafforzandone l’autorità e il prestigio. Nel 794 Paolino fu tra i protagonisti del sinodo di Francoforte, nel quale si giunse a una nuova e più decisa condanna dell’adozionismo; qui egli presentò, a nome dell’intero episcopato italiano, il Liber Sacrosyllabus, una confutazione delle tesi adozioniste basata su argomenti scritturali, che fu accolta negli atti sinodali insieme a quella presentata probabilmente da Alcuino a nome dei vescovi oltralpini, basata in prevalenza su argomenti patristici. Nel 796, dopo avere accompagnato Pipino in una nuova campagna contro gli Avari, Paolino prese parte insieme ad Arnone e ad altri vescovi a un sinodo che si tenne in una località imprecisata “in ripa Danubii”, nel quale vennero trattate varie questioni relative all’evangelizzazione delle regioni assoggettate, in particolare allo svolgimento delle missioni e all’amministrazione del battesimo; a lui si deve la redazione di una parte degli atti sinodali, che vennero inviati poi a Carlo. Alla fine del 796 o all’inizio del 797 egli convocò un sinodo a Cividale, cui presero parte i vescovi suffraganei di Aquileia; in questa sede vennero affrontate soprattutto questioni di disciplina ecclesiastica e di regolamentazione matrimoniale, ma il patriarca si soffermò anche su temi di carattere teologico, e in particolare sull’adozione della formula Filioque relativamente alla processione dello Spirito Santo all’interno del Credo. Probabilmente nel 798 Paolino, divenuto ormai uno dei più importanti teologi del regno, ricevette da Carlo l’incarico di confutare in modo definitivo la dottrina adozionista, i cui sostenitori erano ancora attivi; il medesimo incarico venne contemporaneamente assegnato ad altri dotti, come Alcuino e Arnone. Paolino si mise all’opera e preparò un trattato in tre libri (Contra novellos improbae Felicianae sectae errores); esso fu completato soltanto dopo che Felice era stato costretto all’abiura (giugno 799), ma nonostante il venir meno della sua immediata attualità non mancò di suscitare i commenti entusiastici di Alcuino. Nei due manoscritti che riportano il trattato esso è seguito da un’esposizione poetica (in 151 esametri) del Simbolo, la Regula fidei (carme I Norberg), da ascriversi ugualmente a Paolino e probabilmente da lui stesso allegata all’opera in prosa. Sempre nel 799 Paolino compose un lamento celebrativo per la morte di Erico, margravio del Friuli, ucciso nel corso di una spedizione contro alcune tribù slave nella zona del Quarnaro (carme III Norberg). Secondo la tradizione morì l’11 gennaio dell’802. Oltre alle opere pastorali e dottrinali di cui si è parlato, Paolino compose in prosa anche un trattato sulle virtù e i doveri dei laici, il cosiddetto Liber exhortationis (è in preparazione una nuova edizione curata da Angelo De Nicola), destinato a una grandissima fortuna nel medioevo grazie anche al fatto che venne falsamente attribuito a sant’Agostino. Il trattato fu scritto per un «amicus in saeculo militans» ed è in gran parte una compilazione ricavata da fonti precedenti (in particolare il De vita contemplativa di Giuliano Pomerio e l’Admonitio ad filium spiritualem che circolava nell’alto medioevo sotto il nome di san Basilio). L’opera è successiva all’agosto 796, perché utilizza la lettera 115 di Alcuino, scritta in quella data; il destinatario è identificato, in genere senza riserve, con il margravio Erico, cui quello stesso anno Alcuino aveva indicato l’utilità di assumere Paolino come propria guida spirituale. Come si è detto, la corrispondenza di Paolino non è conservata, se non in minima parte, ma dovette essere abbastanza cospicua, a giudicare dalle lettere che sappiamo essergli state indirizzate (solo di Alcuino ne sono conservate sette, e indirettamente abbiamo notizia di scambi epistolari con Arnone). Le poche lettere che si conoscono sono quelle scritte in occasione dell’invio a Carlo degli atti del sinodo cividalese del 796 e del Contra Felicem, cui si aggiungono alcuni spezzoni accolti in collezioni canoniche e altri conservati in una raccolta di tipo morale che risale forse all’ambiente di Giona di Orléans (ms Paris, Bibliothèque Nationale, nouv. acq. Lat. 1632). Un’ulteriore epistola di dedica a Carlo del Contra Felicem è giunta in forma frammentaria ed è stata pubblicata da André Wilmart («The Journal of Theological Studies», 39, 1938, 22-37). Nelle lettere conservate – e in buona misura anche nei trattati teologici e pastorali – la prosa di Paolino appare assai retorica e artificiosa, e risponde a canoni stilistici precedenti a quelli che si stavano progressivamente elaborando nella prima età carolingia, basati su un’adesione più stretta ai modelli della prosa d’arte della tarda antichità cristiana. Assai significativa è la produzione poetica attribuibile a Paolino Il “corpus” raccolto da Dag Norberg e pubblicato nel 1979 comprende tre carmi in esametri (la Regula fidei e due epistole poetiche, la prima a un ecclesiastico di nome Zaccaria, la seconda a un amico di cui non è fatto il nome) e 16 composizioni in versi ritmici. Fra queste si trovano diversi inni per la celebrazione di feste liturgiche (carme VII: sul natale; carmi IX e XII: sulla pasqua; carme X: sulla purificazione di Maria; carme XI: sulla quaresima; carme XV: sulla festa di dedicazione della chiesa; carme XIII: sulla festa di san Marco; carme XIV: sulla festa dei santi Pietro e Paolo); vi sono poi due poesie di argomento biblico (carme IV: su Lazzaro; carme V: sui patriarchi Giuseppe e Giacobbe); una preghiera per invocare un mutamento del tempo (carme XVI: al suo interno potevano essere inserite due strofe alternative, per richiedere l’arrivo della pioggia o la sua cessazione); un inno sulla carità (carme VIII) e uno sulla penitenza (carme VI). A queste composizioni, la cui autenticità è generalmente accettata, Schaller ha successivamente proposto di aggiungere, come si è detto, il Carmen de conversione Saxonum e il canto pasquale Regi regum. Più incerto è se risalgano a Paolino altri tre componimenti: una preghiera volta a scongiurare le malattie, pubblicata anch’essa da Schaller; il celebre lamento abbecedario De destructione Aquileiae, sulla rovina della città ai tempi delle invasioni unne (in appendice nell’edizione Norberg); il già citato planctus per la morte del piccolo Lotario, figlio di Carlo. Sergio Tavano ha altresì proposto di attribuire all’età di Paolino l’iscrizione metrica che corre sulla parete del tempietto di Cividale, contornandone la metà inferiore. La produzione poetica di Paolino, in particolare quella in versi ritmici, è associata alla fama che egli ebbe come rinnovatore dell’innografia liturgica: secondo una notizia riferita da Valafrido Strabone, Paolino avrebbe promosso l’introduzione nella liturgia di inni di composizione recente, fra cui alcuni composti da lui stesso, favorendo la diffusione delle nuove forme poetiche ritmiche nei confronti di quelle tradizionali che risalivano alla poesia cristiana di età tardoantica. Se egli sembra essere stato un innovatore sul piano delle forme, pare nel contempo aver operato in direzione di una sostanziale unificazione delle strutture liturgiche a favore delle consuetudini romane, in armonia con le linee di tendenza generali dell’età carolingia. Un’antica leggenda racconta che Paolino, chiamato come arbitro circa la dignità delle pratiche liturgiche ambrosiane e romane, si sarebbe pronunciato per ispirazione divina a vantaggio delle seconde; anche se nel merito la notizia è priva di fondamento, essa potrebbe essere indizio, oltre che dell’autorevolezza che circondava la figura del patriarca, della sua fama di liturgista filoromano, che troverebbe conferma nel fatto che le consuetudini di origine aquileiese sembrano essere state sostituite intorno alla sua epoca da quelle di tradizione romana. Paolino venne grandemente stimato come letterato e teologo dai suoi contemporanei, e la sua autorevolezza rimase nella memoria degli uomini di cultura per tutto il IX secolo; di lui parlano con deferenza Ermoldo Nigello, Rabano Mauro, Valafrido Strabone, Incmaro di Reims. Egli sembra aver avuto fama di santità già in epoca di poco successiva alla morte, ma il culto ebbe poi carattere locale; il suo nome è menzionato nei martirologi medievali soltanto in modo assai sporadico. Secondo un’antica tradizione, le sue spoglie riposano nella cripta del duomo di Cividale.

Date

26 Novembre 2020

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Aquileia, Paolo Chiesa, Patriarchi, Santi