
Leonardo e Daniele(DMR-AI11_25)
Leonardo, capomastro a Chioggia, è diviso tra dovere e ansia bellica, ma trova speranza nella nascita del figlio Giacomo
L’episodio precedente…. Leonardo torna a Chioggia con la moglie Lucia, colmo di emozioni e ricordi. La città, più essenziale di Venezia, lo riporta all’infanzia. Raggiunge la casa natale, dove riabbraccia i genitori dopo anni di assenza. Il padre Ugolino, mercante ferrarese, accoglie la coppia nella dimora prestigiosa. Lucia scopre le radici e la forza del marito. La serata si chiude con riflessioni sul futuro e sulla missione di fortificare Chioggia, minacciata dal conflitto tra Venezia e Genova
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Episodio 11.
I giorni si susseguivano, scanditi da un ritmo serrato: lavori incessanti in cantiere per Leonardo e le serate tranquille in famiglia con i suoi genitori e Lucia. L'atmosfera era un misto strano di ritrovata intimità e febbrile attività edilizia.
Nonostante la stanchezza fisica, Leonardo non aveva perso la sua vecchia abitudine veneziana. Nelle poche ore di tempo libero, lasciava la tranquillità della casa paterna e si recava nelle locande più popolari di Chioggia. Non cercava solo vino o compagnia, ma si sedeva tra i marinai e i mercanti per intercettare i sussurri, le voci e le notizie che arrivavano dai porti lontani, fuori dal controllo diretto della Serenissima. Voleva sentire il polso del mondo, capire cosa tramassero i rivali e se la pace fosse davvero così fragile come si temeva.
Sebbene le giornate a Chioggia potessero sembrare tranquille – il viavai di pescherecci, il profumo del sale – su tutto incombeva la preoccupazione palpabile e crescente dell’avvicinarsi della guerra con i Genovesi. Tutti sapevano che, in caso di conflitto aperto, Chioggia sarebbe stata il primo porto e l'obiettivo principale della flotta nemica. Non era una paura lontana, ma una certezza che si annidava nei silenzi e nei discorsi interrotti. Ogni trave posata da Leonardo e ogni mattone messo in opera non erano solo elementi di costruzione, ma atti di resistenza contro un destino imminente. La sua missione non era costruire, ma fortificare l'attesa.
Un giorno, in una locanda affacciata proprio sulla riva del mare, dove l'odore aspro del fumo si sposava a quello salmastro della Laguna, Leonardo fece un incontro che gli illuminò la serata. Era un uomo straordinariamente interessante, e, cosa ancora più rara a Chioggia, parlava di Venezia, del Levante e persino della terraferma con una disinvoltura e una cognizione dei fatti che facevano pensare a un cantastorie o a un messaggero segreto. Il suo nome era Daniele Chinazzo. Daniele era un uomo giovane, ma con occhi acuti e penetranti, e indossava i panni raffinati di un mercante benestante. Era lì solo di passaggio, in attesa di concludere l'acquisto di preziose spezie orientali in arrivo a breve.
Leonardo si sedette al suo tavolo, attratto irresistibilmente dal modo in cui Daniele teneva banco, tessendo trame di porti lontani e intrighi dei Palazzi.
Leonardo, intimidito ma incuriosito da quell'uomo dalla parlata così intrigante, gli porse la mano. "Mastro, scusate l'ardire," disse con un tono semplice e rispettoso. "Mi chiamo Leonardo, sono il capomastro qui per i lavori di fortificazione. Voi parlate con la confidenza di chi conosce bene le maree e i segreti dei palazzi."
L'uomo ricambiò la stretta con un sorriso vivace. "Daniele Chinazzo, al vostro servizio, mastro Leonardo. E non v'ingannate, no! Sono solo un mercante, ma il commercio, si sa, è l'altra faccia della guerra, come la luna. Si combatte coi ducati e col pepe, non solo con spade e cannoni! Soggiorno qui per i miei affari; la vostra Chioggia, credetemi, è il vero ombelico del mondo in questo momento. Un nodo cruciale, un boccaporto che fa gola a tutti."
A Leonardo premeva sapere più di ogni altra cosa come stessero evolvendo le tensioni con i Genovesi, poiché da quelle notizie dipendeva il tempo effettivo che gli rimaneva per completare la fortificazione di Chioggia. Si sporse verso Daniele, la sua voce abbassata a un tono di assoluta serietà. "Nodo cruciale, già. È per questo che siamo qui," rimarcò, ricalcando le parole dell'interlocutore. "Dunque, ditemi voi che avete orecchi anche a Rialto: si parla ancora molto dell'affronto a Cipro? E dei Genovesi, cosa si mormora?"
Daniele si avvicinò a sua volta a Leonardo, quasi dovesse confidargli un grande segreto, e sussurrò: "Se ne parla eccome, mastro! A Venezia si sussurra che l'odio tra i due leoni non è mai stato così vivo, così velenoso. Quella defenestrazione è stata solo la scusa, credetemi. La verità è che Genova ha messo gli artigli su un pezzo di pane troppo grande, e la Serenissima non può lasciarla mangiare indisturbata! Quei Diavoli Genovesi hanno una fame che non vi dico, e la loro flotta non sta ferma. Voi fate bene a costruire in fretta, mastro Leonardo, perché temo che l'inverno che arriva non sarà solo freddo, ma di fuoco e polvere da sparo."
Leonardo annuì gravemente, l'ansia confermata dalla lucidità del mercante. Aveva trovato in Daniele Chinazzo una preziosa fonte di informazioni.
Mosso dalla sete di notizie fresche e dalla consapevolezza di aver trovato un informatore prezioso, Leonardo continuò, con voce pacata ma insistente: "Spero che vogliate onorarmi della vostra compagnia, mastro Chinazzo, finché sarete in città. Le vostre parole, temo, valgono più di un messaggio ufficiale del Senato."
Daniele sorrise, un gesto di apprezzamento per il complimento. "Con piacere, mastro Leonardo. Sedetevi. Un bicchiere di vino?"
"Accetto volentieri. Ma... voi non avete l’accento veneziano. Da dove provenite, se posso chiedere?"
Per rispondere, Daniele raddrizzò la schiena, assumendo un fare orgoglioso e solenne: "Mastro Leonardo, sappiate che il mio sangue non mente. Mio padre era Biachino detto Chinazzo della Motta, un valoroso condottiero che nel lontano 1346 servì la Serenissima con onore, come capitano di Fregona e poi del castello di Costa! E io, io sono nato a Motta di Livenza, la città che con fierezza si fregia del titolo di 'Figlia primogenita della Repubblica di Venezia'!"
"E come siete diventato un mercante, con una famiglia di tale importanza?" domandò Leonardo.
A Daniele si spense il sorriso, lasciando trasparire sul suo volto l'ombra di una vecchia ferita. "Ah, mastro Leonardo," sospirò. "Quando i miei genitori morirono, a causa della mia giovane età, mi presero gran parte dell'eredità. Nonostante due processi, rimasi senza nulla, ma fu il Senato stesso a intervenire per restituirmi l'onore del nome." Fece una pausa, i suoi occhi brillarono di gratitudine. "Questo è il motivo della mia profonda riconoscenza nei confronti della Serenissima, che non mi ha dimenticato." Poi, riprese il suo tono leggero e cantilenante. "In realtà, la mia prima arte è quella di apotecario, e ultimamente ho una spezieria che si chiama 'della Colonna', a Treviso. Ma i miei viaggi come mercante mi permettono di essere testimone vivo degli eventi politici. E credetemi, mastro, Venezia si sta preparando al peggio."
La serata si concluse con Leonardo e Daniele che si scambiarono un patto per rivedersi presto. Il mastro costruttore aveva trovato un prezioso alleato nella rete di informazioni del mercante. Per fortuna, contrariamente a quanto previsto con tanta ansia da Daniele, la guerra si fece attendere, regalando un inaspettato periodo di pace.
In questo intermezzo di serenità, la famiglia di Leonardo si preparò ad accogliere la notizia più bella: l'arrivo del loro primo figlio.
Era autunno inoltrato e la gravidanza di Lucia era giunta al termine. L'intera contrada si preparava, con discrezione e speranza, ad accogliere la nuova vita. Lucia aveva trascorso gli ultimi mesi tra le faccende domestiche e le visite premurose della levatrice del borgo, madonna Agnese, una donna robusta e saggia, che conosceva i ritmi del corpo e le erbe della laguna. Ogni sera, Lucia si sedeva sul gradino di casa, le mani sul ventre, ascoltando i racconti delle comari che le parlavano di lune favorevoli, sogni premonitori e bambini nati durante la bonaccia.
La sua dieta era semplice e parsimoniosa: pane di segala, brodo di pesce, fichi secchi e acqua di fonte. Si evitavano con cura le maree troppo alte e le giornate di vento, che secondo le credenze popolari potevano "scompigliare gli umori" e rendere il parto difficile. La madre di Leonardo aveva richiesto il parroco, che aveva benedetto la casa e lasciato una piccola icona della Madonna col Bambino sopra il letto, a protezione della madre e del nascituro.
Nel frattempo, Leonardo non poteva nascondere la sua ansia. Era abituato a dominare la pietra e il legno, a calcolare i rischi di crollo, ma di fronte a quel mistero della vita si sentiva impotente. Il suo lavoro di fortificazione, sebbene urgente, rallentò leggermente: ogni giorno in cantiere era un giorno in meno passato al fianco di Lucia. Si era preso l'impegno di rientrare a casa ogni sera prima del tramonto e di non allontanarsi troppo dalla "vena aquarum". L'arrivo di quel figlio, tanto desiderato, era un balsamo contro la minaccia della guerra che ancora aleggiava sulla laguna.
Era la vigilia della festa di San Martino, e la nebbia avvolgeva i canali come un velo. Lucia sentì le prime doglie mentre il marito rientrava da una lunga giornata in cantiere. Corsero a chiamare madonna Agnese, che arrivò senza fretta ma con assoluta competenza, portando le sue pelli di pecora, un bacile di rame e un sacchetto di erbe profumate.
La stanza fu riscaldata con bracieri, e Lucia fu aiutata a sedersi su uno sgabello da parto, mentre le donne del vicinato si radunavano per recitare in coro il rosario. Il travaglio fu lungo, estenuante, ma per fortuna senza complicazioni.
Quando il primo, potente vagito ruppe il silenzio teso della stanza, madonna Agnese sorrise, asciugandosi la fronte. "È un maschio!" annunciò.
Lucia e Leonardo, con gli occhi pieni di stanchezza e una gioia inebriante, lo chiamarono Giacomo, in onore del nonno di lei. La vita, in quell'angolo di laguna minacciato dalla guerra, aveva trionfato, portando un raggio di luce e speranza.
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