Il ghiaccio artico raggiunge il secondo minimo più basso di sempre
Il 2019 si è piazzato di un soffio davanti al 2007 e al 2016 come secondo anno di minore estensione dei ghiacci. Peggio ha fatto solo il 2012.
L'estensione minima è stata raggiunta quattro giorni dopo la data considerata mediana del 1981-2010, che è quella del 14 settembre.
La calotta di ghiaccio del mare artico è una distesa di acqua di mare ghiacciata che galleggia in cima all'Oceano Artico e ai mari vicini. Ogni anno si espande e si addensa durante l'autunno e l'inverno e diventa più piccolo e più sottile durante la primavera e l'estate. Ma negli ultimi decenni, l'aumento delle temperature ha provocato una marcata riduzione delle estensioni del ghiaccio nel Mar Glaciale Artico in tutte le stagioni, con riduzioni particolarmente rapide dell'estensione minima del ghiaccio di fine estate.
I cambiamenti nella copertura del ghiaccio nel Mar Glaciale Artico hanno un impatto di vasta portata. Il ghiaccio marino colpisce gli ecosistemi locali, i modelli meteorologici regionali e globali e la circolazione degli oceani.
La stagione di scioglimento è iniziata con un'estensione del ghiaccio marino molto bassa, seguita da una rapida perdita di ghiaccio a luglio che è rallentata considerevolmente dopo metà agosto.
Il 2012, l'anno con la più bassa estensione di ghiaccio mai registrata, aveva registrato un potente ciclone di agosto che aveva rotto la copertura del ghiaccio e accelerato il suo declino. La stagione di scioglimento del 2019 non ha visto eventi meteorologici estremi. Sebbene fosse un'estate calda nell'Artico, con temperature medie da 4-5°C al di sopra della media per l'Artico centrale, eventi come i gravi incendi artici e l'ondata di caldo europea non hanno avuto un impatto decisivo sulla fusione del ghiaccio marino.
Secondo gli studiosi NASA, quando i fuochi siberiani iniziarono a innestarsi a fine luglio, il sole si stava già abbassando nell'Artico, quindi l'effetto della fuliggine dei fuochi che oscurava la superficie del ghiaccio marino non è stato così grande.
In realtà si è verificata una primavera ed un'estate insolitamente calde alle alte latitudini, dove è stato a lungo presente un anticiclone che ha aumentato l'irraggiamento solare accelerando lo scioglimento dei ghiacci.
In ogni caso i roghi che si sono verificati oltre il Circolo Polare Artico non sono trascurabili.
I numeri dall'inizio dell'estate sono veramente impressionanti: tra giugno e luglio sono bruciati 700.000 ettari di foreste boreali in Alaska, 150.000 ettari in Alberta (un'area grande più di Los Angeles), almeno 45.500 di ettari in Canada nei territori nordoccidentali in zone di permafrost, un minimo di 3 milioni di ettari in Siberia (secondo le stime ufficiali, ma Greenpeace Russia parla di 4,5 milioni). Un centinaio di grossi incendi si sono sviluppati anche in Groenlandia.
Sebbene secondo gli scienziati il numero globale di incendi sia diminuito nell'ultimo secolo, quello che desta preoccupazione è che questi anomali incendi nell'Artide contribuiscono allo scioglimento dei ghiacci polari e influenzano quindi ulteriormente il cambiamento climatico in corso diminuendo l'albedo, la riflessione dei raggi solari.
In controtendenza col resto del pianeta infatti, secondo uno studio recente, i grandi incendi boreali sempre più numerosi non hanno precedenti negli ultimi 10.000 anni, ed è difficile stabilire le conseguenze ecologiche che potrebbero avere.
Solo in Groenlandia l'ondata di calore di luglio ha causato lo scioglimento di 197 miliardi di tonnellate di ghiaccio, riporta Time, e a questo bisogna aggiungere gli effetti sul clima della CO2 rilasciata dagli incendi: solo in Siberia si stima siano state immesse in atmosfera almeno 140 milioni tonnellate di biossido di carbonio (ad esempio un'automobile in media emette 5 tonnellate di CO2 all'anno).
La World Meteorological Organization (WMO) ha stimato che gli incendi artici di giugno 2019 abbiano rilasciato in atmosfera tanta CO2 quanta ne emette la Svezia in un intero anno.
Inoltre, le aree bruciate possono indurre grandi cambiamenti nell'ecosistema, nella vulnerabilità all'erosione e in generale nell'idrologia, cambiamenti che possono innescare effetti a catena difficili da prevedere e contrastare.
Quello che rende l'ecosistema artico biologicamente ricco è anche quello che lo rende infiammabile, ovvero gli enormi giacimenti di torba ottenuti nel corso della decomposizione millenaria di sfagno, licheni, muschi e altre piante basse. Le torbiere di solito sono composte in massima parte di acqua e non bruciano, ma con la captazione dell'acqua a uso agricolo e le temperature sopra i 30 gradi la torba si asciuga e diventa estremamente infiammabile, provocando inferni da cui è impossibile per gli animali fuggire, aggiungendo una catastrofe biologica al disastro del riscaldamento globale.
In base ai dati raccolti dalla World Metereological Organization, il mese di luglio 2019 è stato il mese più caldo mai registrato nella storia, preceduto anche da un giugno caldissimo, portando aria calda e secca con temperature molto più alte della media stagionale a latitudini estreme.
Qualunque sia stata la causa degli incendi siberiani, il risultato è stato devastante proprio grazie alle temperature anormalmente alte e secche.
Gli studi più recenti basati sulle proiezioni climatiche indicano un potenziale forte aumento della siccità estiva e di conseguenza dell'area bruciata nei prossimi decenni. Sarà necessario incrementate le misure di controllo in quanto l'Artide è una regione che funge da sentinella dei cambiamenti, dove tutto è accelerato. Quanto succede in Artide non rimane confinato, ma gli effetti si propagano alle medie latitudini attraverso la circolazione atmosferica e marina e, nel caso di rilascio di metano dal permafrost, a scala globale.
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