Le Fedi di sanità erano antichi documenti che certificavano lo stato di salute

Venezia, porto di mare, nel Medioevo emporio internazionale epicentro di un’economia basata sugli scambi tra l’Europa e l’Oriente. Con le navi giungevano anche pericoli per la salute, malattie sconosciute e incurabili, che spinsero la Serenissima ad organizzare rigide difese sanitarie.

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Venezia, porto di mare, nel Medioevo era l’emporio internazionale ed  epicentro di un’economia basata sugli scambi tra l’Europa e l’Oriente. Venezia era punto d’arrivo delle rotte dal Mediterraneo e da tutto il mondo allora conosciuto.

Con le navi, assieme ai preziosi prodotti orientali, giungevano però in Laguna anche pericoli per la salute, malattie sconosciute e incurabili, che spinsero la Serenissima ad organizzare rigide difese sanitarie.

La sicurezza delle persone sia la legge suprema

Dopo l’istituzione, nel 1423, di un luogo di isolamento per i malati di peste, in un’isola vicina al Lido allora sede di un convento intitolato a Santa Maria di Nazaret (da cui “nazaretum” e quindi “lazzaretto”) e dopo un secondo lazzaretto (1468), nella parte opposta della Laguna, detto “Novo”, dove navi ed equipaggi “sospetti” stavano in “quarantena” e le merci venivano sottoposte ad “espurgo”, verso la fine del 1400 un Magistrato alla Sanità ebbe il compito di organizzare un sistema sanitario generale di informazione, difesa e prevenzione: lazzaretti e baluardi sanitari furono istituiti in tutto il territorio della Repubblica, sia in mare che nell’entroterra.

La frequenza allarmante delle pestilenze, fra il 1460 e il 1485, anno in cui morì lo stesso doge Giovanni Mocenigo, fa ipotizzare agli storici la sopravvivenza di focolai mai completamente spenti e fece avvertire alla classe politica veneziana la necessità di istituire una magistratura stabile perché la peste “ulterius non procedat et defectu provisionum non reddatur continua”.  Il rischio che l’epidemia potesse trasformarsi in un morbo endemico per la mancanza di adeguate misure (“defectu provisionum”), indusse il Senato a convocare una riunione ad hoc il 7 gennaio 1485 sollecitando tutti senatori ad intervenire, data la gravità e importanza della questione.

Nell’occasione si deliberò di istituire un Magistrato alla Sanità composto da tre Provveditori con incarico non retribuito da rinnovarsi ogni anno.

Che non vi fosse grande entusiasmo nel ricoprire tale carica, lo dimostra la sanzione di 2000 ducati e altre più onerose per coloro che rifiutassero tale mandato. Per alleggerire l’onere di questo incarico gratuito, si concesse ai tre Provveditori di ricoprire  incarichi anche in altri uffici.  

L’anno seguente, allo scadere della carica, i tre patrizi Domenico Morosini, Nicolò Muazzo e Antonio Grimani non vennero sostituiti e dovettero passare altri tre anni perché, nel 1489, fossero nominati Ambrogio Contarini, Marco Foscolo e Luca Pisani. Da allora l’iter politico per la definizione dei ruoli e delle competenze del Magistrato alla Sanità fu complesso e richiese investimenti per la creazione di un ufficio con un braccio operativo armato e una burocrazia dedita, non solo alla registrazione delle persone e cose che entravano ed uscivano dai lazzaretti, ma anche al monitoraggio della situazione internazionale e all’imposizione della  tracciabilità di tutti gli arrivi nei domini veneziani. Le resistenze dei patrizi non furono  poche per il timore che  il nuovo magistrato potesse ostacolare gli interessi mercantili, perché  le misure per difendere la sanità pubblica comportavano alti costi per la contumacia di merci e passeggeri e rallentavano gli scambi commerciali.

L’Ufficio di Sanità si organizzò, dunque, per gestire operativamente i due lazzaretti,  per assicurare una strategia articolata e coerente in grado di spegnere i focolai di peste nella città e nello Stato, e soprattutto per tenerla fuori dai territori della Repubblica. Si passò così dalla difesa della salute nelle emergenze alla organizzazione della  sanità cioè di una strategia politica costante che cercasse di prevenire il morbo. Il motto del Magistrato fu “salus populi suprema lex esto” (la sicurezza delle persone sia la legge suprema ) e la sua azione si concretizzò sia sul fronte esterno che su quello interno.

La tracciabilità degli spostamenti e l’isolamento dei sospetti

Sul fronte esterno il Magistrato alla Sanità della Repubblica di Venezia rilevò, attraverso la sua rete diplomatica e un’apposita intelligence di informatori e di spie, i focolai e l’andamento del contagio. L’obiettivo fu quello di “sospendere la libera pratica”, cioè di interrompere preventivamente gli scambi commerciali e ogni occasione di contatto con i luoghi sospetti.

Dalla valutazione di costi e benefici appariva evidente che conveniva spendere in prevenzione piuttosto che sostenere il costo demografico ed economico di una pestilenza conclamata.  Il Magistrato alla Sanità utilizzò la stampa per diramare migliaia di proclami, usciti dai torchi della tipografia ducale con il marchio di San Marco, affinché anche i nemici fossero informati dei luoghi infetti da evitare e della durata della contumacia da adottare.

L’Impero Ottomano, seguendo i dettami della religione islamica, fatalista e passiva nei confronti della malattia, non adottava alcuna misura per contenere o contrastare il contagio, per questo motivo la Serenissima lo considerò sempre “sospetto” e ritenne  che  al suo interno la peste non si potesse mai considerare estinta. Perciò qualsiasi persona, merce o animale proveniente dai domini ottomani o dai paesi con essi confinanti,  doveva sottoporsi a espurgo e contumacia nei lazzaretti che il Magistrato alla Sanità fece sorgere lungo i suoi confini per mare e per terra.

La persistenza delle pandemie fuori dalla Repubblica indusse il Magistrato a creare  cordoni sanitari  con posti di blocco (“restelli”), e  presidi armati (“caselli”o casematte), imponendo ad ogni sorta di viaggiatore, convoglio o pellegrino la tracciabilità dei suoi spostamenti con la certificazione della salute  (“fede di sanità”) del  luogo di partenza  e di quelli toccati in itinere. Analoga documentazione fu richiesta ai capitani delle navi che dovevano esibire le “patenti”, documenti di viaggio attestanti la salute dei porti di provenienza e degli scali fatti nonché le “fedi” dei singoli passeggeri e delle merci.

Nel caso di notizia da parte degli ambasciatori di possibili epidemie, le varie città venivano “bandite” e per “decreto” a tutti i viaggiatori, merci, animali provenienti da esse era impedito l’ingresso in città.

Venezia si trincerava entro le proprie case, teneva lontane le persone straniere, disinfettava le merci, verificava tutti i permessi e lasciapassare sanitari (“fedi di sanità”).

Tale certificato era utilizzato come strumento di difesa delle epidemie nei tempi nei quali la vita, non solo economica, era strettamente dipendente dalle misure di precauzione e dagli strumenti di controllo, come la messa al bando ed i cordoni sanitari di terra e mare che dopo la peste, divennero sempre più frequenti.

Successivamente, negli anni, fu una pratica diffusa.


Fede di sanità del 22 agosto 1599

Fede di sanità del 22 agosto 1599. Clicca sull'immagine per ingrandire

Ulteriore esempio di Fede di sanità datato 1713 

La “fede di sanità” dell’Ufficio per la Sanità di Venezia nel 1713 riporta la scritta  “Si parte di questa dominante sana (iddio lodato) & libera da ogni sospetto di mal contagioso gl’in frascritti, con robbe, ò con mercantie, ò senza, come qui sotto sarà notato … / Officio della sanità di Venetia”.

Nel caso di Venezia, l’impianto iconografico è vistosamente simbolico. Oltre al rituale Leone di San Marco a rappresentare Venezia, è ritratta la bilancia della Giustizia insieme alla spada simbolo del potere e della severità della legge.

Insomma “severi ma giusti”. La scritta “Gratis” era legato alla grazia, alla benevolenza di chi lo concedeva.


Fede di sanità di Venezia datato 1713.

Fede di sanità di Venezia datato 1713. Clicca sull’immagine per ingrandire

29 gennaio 1713, quando il Provisores Salutis Sacili (provveditori per la salute di Sacile), rilasciavano a 2 donne sacilesi, una di 56 anni e una di 15 anni, un documento amministrativo ufficiale, cartaceo, gratuito, nel quale spicca, nella parte alta, lo stemma del Comune di Sacile e quello della Serenissima.

Era infatti il 29 gennaio 1713, quando il Provisores Salutis Sacili (provveditori per la salute di Sacile), rilasciavano a 2 donne sacilesi, una di 56 anni e una di 15 anni, un documento amministrativo ufficiale, cartaceo, gratuito (attuale pass), nel quale spicca, nella parte alta, lo stemma del Comune di Sacile e quello della Serenissima.

Sacile aveva vissuto nella emergenza per la peste fin dal 1461 anno in cui in città scoppiò una grave epidemia di peste che procurò una ventina di morti in 15 giorni, così come nel 1466 per la peste si decise di scavare le fosse e seppellire i morti, mentre nel 1468 venne deliberato di costruire un lazzaretto per ricoverare gli incurabili.

Uno studioso ha scoperto quali regole erano state adottate in città.

Il Magnifico Consiglio eleggeva i provisores contra peste (i provveditori contro la peste) o provisores salutis Sacilli (i provveditori per la salute di Sacile). Per la circolazione dentro e fuori città da parte delle persone doveva essere acquisito un pass ufficiale, cartaceo, gratuito, rilasciato dall'autorità comunale competente. C'erano particolari disposizioni per i mercanti che arrivavano da luoghi appestati per i quali era obbligatoria la quarantena. Infine si era provveduto alla costruzione del lazzaretto per il ricovero degli incurabili e pericolosi per la contagiosità del male, e soprattutto la vigilanza era rigorosa.


Fede di sanità del 29 gennaio 1713 di Sacile.

Fede di sanità del 29 gennaio 1713 di Sacile. Clicca sull’immagine per ingrandire

La celebrazione dell’Anno Santo 1750 aperto da Benedetto XIV all’insegna delle missioni popolari, aveva portato a Roma un numero di pellegrini mai raggiunto da nessun precedente Giubileo. Una parte di quei pellegrini provenivano da esotici paesi come l’Armenia e le Antille. Ma a far paura erano quelli ben più numerosi provenienti dagli altri Stati italiani e da tutta Europa. Per partecipare all’evento era necessario avere  l’“Attestato di sanità”, chiamato anche “Passaporto marittimo”, “Patente sanitaria” o più semplicemente “Fede di partenza”.

Temendo che i nuovi arrivati oltre ai soldi portassero malattie contagiose, il papa ordinò che osti, locandieri e altri affittacamere dessero notizia «de’ forestieri che si fossero infermati nelle loro case», depositando la delazione in un’apposita buca (tuttora esistente), fatta murare nel 1749 sulla parete alla sinistra della chiesa di San Salvatore alle Coppelle.

Giubileo 1750, censimento dei pellegrini al Giubileo 1750

 

 

ArcheoVenezia, Venezia e la Peste, Anno XXI, n.1, marzo 2011

Il Gazzettino, Primo green pass nel 1713: un lasciapassare durante la pestilenza

Italia libera, Il “Green-pass”? C’era già nel 1500 e anche prima: si chiamava “attestato di sanità”

Timer Magazine, Le misure della Serenissima per convivere con le pandemie L’invenzione della tracciabilità

 

 

 



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