Nel 1402, ci fu una cruenta guerra tra Pordenone e Torre di Pordenone

All’epoca del Patriarcato, tra il 1300 e il 1400, Pordenone si trovava in una posizione particolare: era sotto il dominio straniero, un’isola all’interno della Patria del Friuli.

 

Sono molto scarse le notizie, in quanto “agli occhi degli scrittori tedeschi i fasti di una piccola e lontana signoria” era poco importante rispetto alle vicende più prossime.

Il fiume Noncello anticamente si chiamava Naon e Naum, forse dalla voce greca “naos” che significava nave; più tardi detto Naucellus. Vi sorgeva accanto una cittadina con il nome “Curie Naonis”, ora città di Pordenone, corte regia ossia castello della corona, che Arnolfo re di Germania (850 circa – Ratisbona, 8 dicembre 899)  nominò nel 888 Berengario I (Cividale del Friuli, 850 circa – Verona, 7 aprile 924), duca del Friuli, re d'Italia.

In seguito prevalse il nome di “Portus Naonis” e “Porlenau” dei tedeschi. Una strada, probabilmente d’origine romana, correva dalle sponde del Livenza a Cividale passando per per Cordenons, Valvasone, Codroipo e Udine, passando due chilometri a nord di Pordenone.

Un' altra strada, chiamata Via Hunyarorum, detta ancora Via Ongaresca, perchè battuta a quel tempo dagli ungari invasori. La via passava a due chilometri a ovest di Pordenone che da Brugnera era diretta a Dignano e continuava verso le zone settentrionali del Friuli.

Più tardi crebbe il commercio la navigazione del Noncello, Pordenone crebbe  diventando un castello con una attigua terra popolosa. Non c’è dubbio che nel 1029 questo castello avesse un territorio esteso.

Seguirono dei rapporti con i trevigiani ma poi ritornò sotto il dominio austriaco.

Nel 1300, Pordenone era sotto il dominio austriaco.

In un momento di vuoto politico, il vicedomino in sede vacante Francesco di Savorgnano, cogliendo la propizia occasione, spinse l’esercito friulano e carrarese contro gli Austriaci. Nel 1365 conquistò il castello di Ragogna e mise sotto assedio Pordenone.

Pordenone era quasi alla resa ma la nomina del nuovo Marquardo de Randeck mise fine alle ostilità.

I duchi Alberto III e il fratello Leopoldo III d’Asburgo ricuperarono Pordenone e affidarono il castello ai Visconti per dodicimila duentocinquanta zecchini di Firenze e due anni dopo concessero che i pordenonesi potessero condurre le loro merci in Germania senza pagare dazio.

Nel 1382 il duca Leopoldo diede in dote a sua figlia Elisabetta trentaduemila fiorini assicurandoli su Pordenone. Lo sposo conte Enrico di Gorizia gliene assegnò quarantacinquemila di controdote portando anche Latisana. 

 

 


 

I conti di Ragogna, padroni dell’omonimo borgo vicino San Daniele del Friuli furono una delle più importanti e famigerate famiglie nobili della Patria del Friuli. Nel corso delle lotte tra il Patriarcato e i Duchi d’Austria costoro, schieratisi con questi ultimi, avevano spesso compiuto atti di brigantaggio sul territorio ai danni della popolazione locale. Tuttavia nel 1365, quando ormai la misura era colma, dopo l’assedio del loro castello da parte delle truppe patriarcali, essi vennero allontanati: al posto della loro vecchia casa alcuni dei Ragogna si trasferirono a Torre di Pordenone, insediandosi ufficialmente nel 1391.

Uno dei primi abitanti della famiglia di Torre fu un tale Giovannino. Nato nel 1375 egli era descritto come un provocatore tendente alla rissa, del tutto propenso ad accumulare ricchezza e con un solo obiettivo: restaurare la passata grandezza dei Ragogna. Sin dagli inizi del 1400 egli si dedicò allo scopo, con azioni che andavano ben oltre la semplice diplomazia: Giovannino mal tollerava che i Duchi d’Austria, suoi antichi alleati e padroni della zona, avessero stabilito che alcuni aspetti dell’amministrazione locale fossero destinati a un delegato da loro nominato. Preferiva infatti, da buon feudatario, avere tra le mani tutto il controllo del territorio, in ogni suo aspetto. Di qui, aiutato da mercenari assoldati allo scopo, egli si faceva promotore di vessazioni, minacce e saccheggi ai danni della popolazione del pordenonese.

 

Ma un altro tipo di noia tormentava Giovannino: non sopportava il capitano di Pordenone, il tedesco Nicolò Mordax. Sempre per una questione di potere e soprattutto di relazione con i Duchi, egli rappresentava un ostacolo non indifferente alle sue ambizioni. Nel corso degli anni, da parte del Ragogna vi erano stati infatti diversi tentativi di assassinarlo, tra l’altro molto spesso assoldando criminali già banditi in passato da Pordenone allo scopo di sviare ogni sospetto, tutti falliti e tutti non direttamente collegati a Giovannino.

Nel Venerdì Santo del 1402 i pordenonesi catturarono l’ultimo sicario della serie, tale Guglielmo Tessitore. Costui sotto tortura, oltre ad ammettere il suo obiettivo e a fare i nomi dei suoi complici, si lasciò sfuggire quello del suo padrone Giovannino. Era la prova definitiva, tanto bastava: dopo alcuni falliti tentativi di mediazione, i pordenonesi e gli abitanti del territorio, esasperati dalle passate e continue vessazioni del Ragogna, alla testa del loro capitano tedesco marciarono su Torre e  cinsero d’assedio il castello.

Nella mattina del 12 aprile, approfittando del fatto che un servo fosse uscito dalle mura a fare rifornimento d’acqua abbassando il ponte levatoio, gli assedianti irruppero nella fortezza saccheggiando, devastando e trucidando chiunque si fosse trovato sul loro cammino. Giovannino, assieme alla moglie incinta, ai suoi nove figli e ad alcuni famigliari, si barricò nella torre maggiore: non si sarebbe arreso tanto facilmente.

Impossibilitati a compiere un ulteriore sfondamento i pordenonesi appiccarono il fuoco alla struttura. Il Ragogna, ormai in preda alla disperazione, in un ultimo atto di salvezza fece gettare tre suoi figli dalla finestra nella speranza di salvarli dall’inevitabile. L’incendio estesosi in breve all’intero castello lo distrusse completamente e con esso perirono tutta la famiglia lì asserragliata, Giovannino compreso. I tre figli usciti dalla finestra miracolosamente sopravvissero e vennero fatti prigionieri dei pordenonesi. Assieme al castello anche il borgo di Torre subì le conseguenze dell’assedio, al termine del quale divenne un cumulo di macerie.

La notizia fece subito il giro del Friuli e non solo: riunito il Parlamento della Patria, il Patriarca Antonio Panciera, stabilita la punizione da dare ai pordenonesi per un simile atto, si mise alla testa delle armate patriarcali per cingere d’assedio ed espugnare Pordenone, accampandosi sotto le mura della città. La tensione era alle stelle e solo una mediazione diplomatica tra assedianti e assediati, che spiegarono le ragioni e i diritti del gesto, evitò un nuovo spargimento di sangue.

Lo scontro era stato evitato ma non le conseguenze della morte di Giovannino: per esso i Duchi d’Austria nominarono un nuovo capitano al posto di Mordax, mentre papa Innocenzo VII, inorridito per un simile fatto, scomunicava i pordenonesi (una scomunica che tuttavia non durò molto, venendo ritirata dal successore Gregorio XII quattro anni dopo, nel marzo 1406).

In seguito a quest'eccesso di popolare vendetta Pordenone ottenne perdono mediante supplichevoli scuse al pontefice, al patriarca e al duca d'Austria, come anche col ricevere più tardi fra nobili pordenonesi il sopravvissuto Federico di Ragogna .

 

 

Da:

Monografie friulane (1847)

La strage di Torre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pin It