Un cimelio medievale è diventato, nel XIX e XX secolo oggetto di contese legate all’italianità di Trieste
Un leone conteso - seconda parte
Inizi del Comune.
Torniamo al diploma di Lotario del 948. Esso segna una data importantissima nella storia, purtroppo lacunosa e oscura, della «civitas» triestina dell'alto medioevo. In pericolo d'esser travolti dal feudalesimo montante che li avrebbe aggregati a potenti principi d'oltralpe, i triestini si strinsero al loro vescovo, da loro stessi eletto e salutarono certo con gioia il privilegio che sottraeva la custodia delle mura, l'esazione delle imposte e dei dazi, l'amministrazione civile e la giudiziaria ad altro signore.
La vecchia classe degli «honorati», detti poi «boni homines et idonei» continua ad esercitare modeste funzioni amministrative, in posizione subalterna, ad esprimere dal suo seno i giudici di prima istanza nel civile, conservando e tramandando tenace il ricordo dell'antico municipio e della sua curia, le consuetudini, il sentimento di solidarietà economica e sociale. L'autorità vescovile non dava loro fastidio, finché il presule era eletto per lo più tra di loro o quantomeno con il loro concorso, ed essi avevano gran parte nel Capitolo e nella curia dei vassalli episcopali, finché, insomma, gli interessi e le persone del pastore, del clero e della classe dominante furono quasi i medesimi.
Ma pare che già Ricolfo (1007-1017) provenisse direttamente dalla chiesa di Eichstaett in Baviera e fosse investito dall'Imperatore. Così i suoi successori Adalgero (1031-1072) e Eriberto (1080-1082). Certo nei secoli XI e XII sempre più i vescovi assunsero il carattere di vassalli diretti dell'Impero. Ne conseguiva la partecipazione a campagne militari e politiche lontane che, stremando in gigantesche competizioni le loro energie e i redditi della diocesi, senza soddisfazione alcuna della città, interessavano solo pochi membri della «curia vassallorum». Ciò avviene in sintonia con la storia del patriarcato di Aquileia, il cui soglio pervenne in mano a famiglie tedesche, legate alla grande politica imperiale germanica, rimanendovi fino all' elezione del patriarca Gregorio (1251-1269).
Il dissidio tra il vescovo e la cittadinanza si delinea, si acuisce e prende forma.
Destreggiandosi abilmente, i cittadini ottengono via via privilegi e riconoscimenti alla loro collettività, che, in pieno feudalesimo, è ormai un ente di fatto, non tutelato dai pubblici poteri.
In quest'oscuro periodo, nel quale cade il tramonto d'un assetto antico e rimpianto sempre, si formano e si stringono i nuovi interessi e i nuovi vincoli, si foggia e si rassoda la «civitas» novella.
A Trieste già nel X secolo dunque accanto al vescovo signore esisteva una collettività abbastanza forte per essere apprezzata quale cooperatrice e fiancheggiatrice, con voce autorevole nel capitolo e nella curia dei vassalli vescovili. Negli scarsissimi documenti dell'epoca sono menzionati di solito il vescovo, o un suo ufficiale, e i rappresentanti della città.
In un documento del 933, Trieste è rappresentata da un «locoposito», forse designato o eletto dal vescovo.
In sua vece spunta, nel secolo XII, il gastaldo che poco ha a che fare con il gastaldo longobardo o franco, ma invece sembra assumere anche nelle città istriane il posto di primo ufficiale, come magistrato elettivo, facente parte del collegio dei giudici, cioè delle supreme cariche cittadine perpetuanti quelle del municipio romano.
Tra le varie signorie formatesi dopo il mille in Istria e nella Carsia è notevole quella dei Duinati che dalla loro rocca dominavano la via litoranea. Molesta riusciva ai triestini quella rocca tedesca appollaiata come un falco e croniche furono le contese di confine. Il Comune e il signore di Duino, che si accusavano a vicenda di turbazioni di possesso, si accordarono infine di rivolgersi a Ditmaro. La città aveva quale procuratore il gastaldo Ripaldo, assistito da dodici «boni homines», i quali provarono con giuramento che tutte le terre dalla strada carreggiabile al mare, tra Sistiana e Longera, erano «possessio communitatis Tergestine civitatis». Le parti contendenti s'impegnarono a rispettare questa linea di confine, e il vescovo «posuit inter eos» la penale di cinque lire d'oro. In questo importantissimo lodo ricorre per la prima volta il nome di «commune Tergestine civitatis».
L'evoluzione del comune di Trieste è molto più lento di quello delle analoghe città istriane, appunto perché nel 1100 la città non deve strappare l'autonomia ai marchesi d'Istria, lontani dalla provincia e assorbiti dalla partecipazione alla grande politica imperiale, ma ai propri vescovi. Erano anni agitati, pieni di contese con i vicini e di azioni militari per difendersi dall'espansionismo di Venezia. Tra il 1145 e il 1149 Bernardo, vescovo di Trieste, guerreggiò, rimanendone sconfitto, con Muggia, Capodistria, Isola e Pirano, che gli negavano le decime.
Le gravi spese militari, i danni e l'insuccesso non giovarono all' autorità vescovile e provocarono dissidi tra il Comune e il bellicoso presule.
Non molto dopo, nel 1190, il clero e il popolo di Trieste chiesero che fosse reso loro il diritto di eleggere il vescovo, diritto appartenuto, come sopra detto, fin dal 1081 al Patriarca per i vescovati di Trieste e Parenzo, per concessione di Enrico IV. Due anni dopo furono esauditi dal Pontefice e il Patriarca confermò Wolcango (o Voscalco), da loro eletto. E' questa l'epoca della coniazione dei primi denari triestini. Essi sono in tutto simili alle monete patriarcali, con le iscrizioni : TRIESTE PISCOP invece che AQVILEGIA.P.
Nel Duecento gli uomini del Comune comprano e, quando li hanno perduti, ricomprano dal vescovo mediante contratti di tipo mercantile i diritti sui quali si fonda il potere comunale.
Rapporti con Venezia, con le città istriane e con il Patriarca di Aquileia.
I rapporti fra Trieste e la Serenissima, fin dai primi decenni del X secolo, furono conflittuali, a causa dell'egemonia che quest'ultima esercitava per terra e per mare, non consentendo a Trieste una propria autonomia commerciale. Venezia aveva il suo territorio e i suoi confini sull'Adriatico, e in esso agiva con forte politica, onde controllare le rotte, imponeva le sue regole e i suoi dazi. Un tributo navale che le città istriane pagavano anche a difesa delle incursioni e dalle scorribande dei pirati. Queste regole, Trieste le contravveniva per necessità e per sistema. Ragioni commerciali rendevano intenso il contatto tra le due città, ma Trieste era sfavorita rispetto a Capodistria, da quando Venezia, nel 932 ne aveva fatto di il maggior porto delle sue rotte. La città di Trieste, nel X secolo, troppo piccola per una sua autonomia, riconobbe l'autorità del Sacro Romano Impero, rappresentato in essa dal vescovo, ma dovette accettare anche quella di Venezia. Nella prima metà del X secolo, pur avendo potere politico proprio sul suo territorio, la città era legata a due autorità.
Nel 1202 Il doge Enrico Dandolo, muovendosi per la IV Crociata, occupa la città ed impone il dominio veneziano, la “fidelitas“. Il gastaldo Vitale, assieme ai tre giudici e a 345 cittadini (probabilmente quasi tutti i capifamiglia), giura un “sacramentum”: i triestini si impegnano ad esimere i veneziani da ogni tributo, nonché a soccorrerli nella lotta contro i pirati e a dare loro un tributo annuo in vino. Questa relazione di “fidelitas“ è identica a quella che lega a Venezia anche le altre città costiere del nesso provinciale del marchesato d'Istria. La presenza del gastaldo vescovile come massima autorità nella città dimostra come non siano ancora sviluppati compiutamente gli istituti comunali.
La nascita del comune
Fu tra il 1225 e il 1233 che si compie il passo verso la formazione delle dignità comunali. Durante un ennesimo conflitto con Venezia compare a capo della città un “podestà”, mentre nell'accordo susseguente gli ambasciatori verranno mandati da Venezia ad “Episcopum et Homines rectores“ di Trieste. Nel 1233 la delega a stringere l'accordo con la città di San Marco è ormai concessa dal Comune, attraverso la “Concio”, ai “Rectores“. Il podestà regge, in accordo con il Consiglio, la città e il territorio circostante. Le cariche più rilevanti spettano ai “patrizi” ed in particolare ai membri di 13 famiglie che si vantavano di discendere dai decurioni romani e venivano chiamate le “Tredici casate triestine“.
L’avvento delle 13 casate e il passaggio effettivo a libero comune non allontana comunque il potere vescovile da Trieste, anzi forse è più corretto affermare che, per questioni economiche, furono i vescovi, quasi sempre espressione della Marca Friulana e quindi di origine tedesca, ad affrancare i patrizi della città per passare loro, oltre che parte delle decime (difficili da riscuotere in tempi di guerra continua), anche i debiti di guerra. Allo stesso tempo il potere diviso tra famiglia inizia a dividere la città in fazioni (è l’epoca dei Guelfi di ispirazione italico/papale e dei Ghibellini di ispirazione imperiale/germanica) e quindi si succedono periodi in cui Trieste si trova più affine alla Patria del Friuli (ghibellina) ed altri in cui propende per Venezia (più guelfa). Ovviamente la fazione guelfa si trovava però a dover difendere l’indifendibile, poiché una sottomissione a Venezia significava per Trieste una totale perdita di importanza ed avrebbe degradato il piccolo (ma florido) comune a un piccolo borgo. Effettivamente furono decine le guerre di Venezia contro Trieste, soprattutto per il controllo dei castelli di Moncolano e Moccò, che custodivano le vie di accesso alla città. Spesse volte battuta, Trieste si ribellò sempre al dominio veneto, che era mal tollerato in città.
Ad esempio tra il 1285 ed il 1291 la città si era alleata con Aquileia nella guerra contro Venezia, è sconfitta ripetutamente. Nel 1291, con la Pace di Treviso, i triestini si impegnano a distruggere tutta la flotta e le fortificazioni da parte del mare e a non ricostruirle per un periodo di cinque anni: il Comune rimane legato a Venezia dalla “fidelitas“ e dalle regalie connessevi.
A seguito di questa sconfitta, Trieste si affranca completamente dal Vescovo nel 1295 e gode, per un settantennio Trieste ed almeno formalmente, di un'indipendenza – “libertas” – quasi completa. In realtà, dal punto di vista politico ed economico, la minaccia rappresentata dall'espansionismo veneziano si fa sempre più pressante. Non che durante questo periodi di cosiddetta “indipendenza” si vivano momenti tranquilli. È del 1315 la questione di Marco Ranfo (di cui si parlerà) è il clima turbolento induce molti cittadini influenti a riparare nelle terre del Friuli, svuotando dunque con la forza ed i soprusi la città dal pensiero ghibellino. Nel frattempo, ed in modo concertato, Venezia si appropria con la forza di tutti i comuni istriani e di fatto stringe il golfo di Trieste d’assedio.
Nel 1355 Trieste, dopo aver cercato di liberarsi dal controllo di Venezia avvicinandosi alla lega tra Ludovico d'Ungheria, il patriarca di Aquileia e i conti di Gorizia, ritorna sotto l'egemonia della Serenissima.
A questi cambiamenti continui di rotta, si aggiunge la guerra contro Capodistria, causata dal fatto che i triestini avevano chiuso la strada istriana dei carsi per “voltare” con forza i “salmari“ a prendere la via triestina e scaricare qui le loro merci. L'economia della città non è certo molto florida in questo periodo: mancano grandi possedimenti fondiari e società commerciali. Oltre all'industria del sale, settore nel quale vi è la forte concorrenza delle città istriane, la città può contare su alcuni prodotti agricoli, quali il vino, l'olio e la frutta. Ben poche navi, tra quelle che uscivano dal piccolo “mandracio”, andavano più in là dell'Alto e Medio Adriatico: per la maggior parte erano veneziane ed andavano a Venezia.
Passano i secoli ma le questioni tra vicini rimangono sempre esattamente le stesse.
Nel 1364 Il passaggio di Ugo di Duino, non più vassallo dei patriarchi, sotto la protezione del duca d'Austria rende la situazione della città ancor più complessa: i rapporti di Trieste con le potenze vicine diventano ora molto tormentati. Praticamente la città ha deciso, con i suoi patrizi, di cavalcare l’onda Veneziana accettando di essere un porto di passaggio tra l’entroterra slavo e Venezia, ma si ritrova ad essere, con la vicina Muggia, una specie di enclave veneta in territorio imperiale. Il Lonza scrive che “Appoggiandosi ai suoi vicini d'oltre Alpe, Trieste avrebbe certamente trovato in essi e nella loro politica di espansione verso l'Adriatico un valido appoggio contro Venezia, ma sarebbe anche andata incontro ad una non meno sicura perdita della sua indipendenza. In questa questione, lo stato aquileiese è il solo che non possa costituire per lei una seria minaccia, poiché le terre del Duinate lo tagliano fuori dal suo territorio, mentre le terre patriarchino-istriane con lei confinanti si riducono alla piccola Muggia. È vero che esso è anche il più incapace di prestarle un valido aiuto, ma Trieste specula sempre sull'antagonismo delle due potenze maggiori, quasi sola forza ormai, in questi ultimi tempi, che fa vivere lo stato aquileiese. Il patriarca poi può far valere sulla città i suoi diritti di cui ha ottenuto conferma con il diploma imperiale del 1354”
Nel 1369, però, ci sono nuovi scontri con Venezia e Trieste, dopo aver chiesto aiuto inutilmente a tutti i potentati vicini offrendosi in sudditanza – all'imperatore Carlo IV come ai conti di Gorizia, a Genova come ai carraresi – si offrì al duca Leopoldo d'Austria, il quale pretese, in cambio del soccorso, una dedizione completa con la quale la città accogliesse lui ed i suoi successori quali “veros naturales et hereditarios dominos“.
La città, come dice il Tamaro, “s'era posta nel trivio offrendosi a tutti” ed alla fine le pretese del duca Leopoldo furono accolte, ma ciò non cambiò le sorti della guerra in quanto le truppe austriache vennero sconfitte dai veneziani, che espugnarono la città e iniziarono la costruzione del “Primo Castello“ per garantirsene il controllo militare: il castello sorse sul prato di Caboro presso San Giusto e da qui trasse il suo nome.
Il Comune fu così sottomesso completamente al dominio di San Marco, anche perché il duca d'Austria preferì cedere, dietro compenso in denaro, ogni diritto sulla città. Finì così, secondo il Tamaro, “l'indipendenza secolare del Comune”. A quest'epoca il Comune conta circa settemila abitanti. Questa cifra va presa comunque con grande cautela, in considerazione dell'incertezza e della contraddittorietà degli scarsi dati a disposizione.
Dunque Trieste, dopo essere stata indipendente, diventa Veneziana nel 1369. Attorno a questa data vengono costruite le mura in cui era incastonato il “Leone tergestino” da cui si è partiti.
Seppure inebriato dalle proprie italiche follie, il D’Annunzio avrebbe dovuto leggere la storia di questi luoghi, prima di spingere tanto per la restituzione di quel “simbolo di italica appartenenza” alla città di Trieste che, evidentemente, fino a quel momento era stata di tanti, forse di troppi, ma mai italica.
Proprio per concludere la storia, alla fine della Guerra di Chioggia Venezia rinuncio ad ogni pretesa e diritto su Trieste e, nella pace di Torino, Trieste viene internazionalmente riconosciuta come parte della Patria del Friuli sotto il controllo del Patriarca di Aquileia. Il dominio a Trieste veniva però, di fatto, esercitato da un genovese. Tutto questo durò meno di un anno, perché nel 1382 morì il Patriarca Marquardo e scoppiano gravi contese tra le diverse fazioni che aspirano al dominio sul Friuli: Trieste, coinvolta negli scontri, cade sotto il dominio di Ugo di Duino, uomo di Leopoldo d'Asburgo, che se ne impossessa con un colpo di mano. In questa condizione critica la città decide di riconoscere come suo signore Leopoldo d'Austria, che non aveva dimenticato i diritti conquistati nel 1369 con la prima “deditio“. Questo passo era stato determinato anche dal persistere nella città di violenti scontri tra le fazioni cittadine, scontri che sarebbero durati ancora per anni con grande vigore.
Con la “deditio” di Trieste al duca d'Asburgo ha fine da un punto di vista formale l'autonomia del Comune: in realtà in cambio il Comune vede riconosciuta dal signore feudale, come d'uso, a titolo di beneficio tutta una serie di diritti acquisiti. Inoltre il duca si impegna per sé e per i suoi seguaci a non dare Trieste in feudo né di venderla ad alcuno: sarebbe sempre rimasta unita alla Corona ducale dell'Austria. In realtà non si trattava di una vera e propria “deditio” perché era previsto il mantenimento di numerose consuetudini, quali ad esempio il diritto di eleggere liberamente i propri Consigli ed i propri magistrati. Il duca d'Austria, inoltre, si impegnava solennemente a “fideliter regere et manutenere ac gubernare secundum formam statutorum et consuetudines dicte Civitatis“ – tutte “libertates” che le dedizioni a Venezia nel 1369 ed ai patriarchi nel 1380 non prevedevano.
La lunga storia cittadina fino alla “deditio” alla casa d’Austria, che terminerà (a parte brevi intervalli di conquista straniera) nel 1918 ci ricorda che, per quanto ci fossero elementi di pensiero diversi in città, Trieste ha sempre avuto un ruolo di “porta” tra un entroterra che, con un unico termine, è stato definito Carniola, popolato di genti di lingua slava, ungherese e tedesca ed un mare mediterraneo nel quale la lingua franca era un italo-veneto che durò per quasi un millennio. Trieste fu anche in mani Veneziane, ma quasi essenzialmente a seguito di conquiste belliche, e non di certo per costruire insieme uno sviluppo della città, che anzi Venezia avrebbe voluto ridurre ai minimi termini, avendo sempre preferito per il collegamento con l’Europa continentale Pola e Capodistria. Legami recenti di oggetti del passato con politiche nazionalistiche moderne sono profondamente sbagliati, perché non riflettono una realtà storica, ma la manipolano ad uso di una propaganda politica.
Trieste è sempre stata borgo, comune e poi città di lingua italiana (nel nucleo proprio della civitas) ma mai legata alle questioni italiche. Si può quasi dire, che, con la sua posizione, Trieste preferisce voltare le spalle al mare e guardare verso terra. Il mare è una grande strada, sulla quale trasportare merci e culture, ma quella strada che parte da Trieste non arriva quasi mai nella penisola italica.
Fonti:
Fondazione Casa America - La storia della famiglia Giustiniani -Sandra Origone Newsletter 1-2015
Storia dei Giustiniani di Genova
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