La guerra scoppiò nel 178 a. C. senza un preciso movente.

 

(Parte superiore anteriore della base della statua dedicata dal popolo di Delfi a Marco Minucio Rufo, che sconfisse gli Scordisci nel 106 a.C. Museo della civiltà romana, Roma)

Fin dall’inizio del II sec. a. C. i Romani avevano già conquistato tutta l’Italia del Nord a sud del Po (la Cispadania) e fondato colonie lungo le principali direttrici di comunicazione da est a ovest: Ariminum, Bononia, Mutina, Parma, Placentia, Ticinum. Nella regione dei Veneti si andava formando una rete di insediamenti a settentrione del Po (Verona, Vicetia, Patavium, Altinum), che nel I secolo a. C. fu completata e consolidata.

Per i Romani era della massima importanza mantenere la libertà di navigazione adriatica, motivo per cui avevano bisogno di un’altra base nell’estremo nord. Giunse quindi a proposito l’incursione di una tribù gallica, arrivata attraverso le Alpi nell’odierno Friuli, dove iniziò a costruire un proprio caposaldo.

Dalla Liguria il console Claudio Marcello si portò nell’area con l’esercito e sconfisse i Galli che dovettero tornarsene da dove erano venuti. Tito Livio scrisse che il console, dopo aver risolto il problema dei Galli, aveva chiesto al Senato il permesso di muovere guerra anche agli Histri, il che significava che essi rappresentavano un pericolo latente per gli interessi romani nella regione. Il Senato rifiutò, ma data la situazione decise di fondare nell’area una nuova colonia, che doveva chiamarsi Aquileia.

Gli Histri immediatamente iniziarono ad ostacolare i romani cercando, a quanto sembra, di impedire lo sviluppo di Aquileia anche con la forza. Ufficialmente la fondazione della colonia di Aquileia si pone nel 181 a.C., perché fu allora che i colonizzatori si insediarono nei nuovi possedimenti.

I Romani fondavano colonie, cioè città, per due ragioni: per assegnare possedimenti terrieri ai cittadini romani che per vari motivi ne erano rimasti senza, ma anche ai veterani benemeriti come premio per aver servito a lungo nell’esercito e per creare nuovi centri di romanizzazione da cui diffondere ulteriormente il modo di vivere e la civiltà romani, centri che nel contempo servivano a mantenere il controllo delle popolazioni appena assoggettate. Le colonie erano perciò un’importante leva di romanizzazione e uno strumento diretto di espansione dello stato romano.

 

La guerra scoppiò nel 178 a. C. senza un preciso movente.

Tito Livio dice che i comandanti militari romani di Aquileia, guidati dal console Aulo Manlio Vulsone, decisero di organizzare una spedizione contro gli Histri probabilmente perché volevano prevenire un loro possibile assalto alla colonia.

A capo degli Histri c’era Epulone che era il guerriero più valoroso cui il consiglio dei notabili aveva affidato il comando.  

Gli Histri erano un insieme di comunità fra loro assai poco unite, prive di una solida struttura unitaria istituzionale. Questo fu il motivo principale per cui, nel 177 a.C., i Romani riuscirono a sconfiggerli.

Tito Livio descrive accuratamente la guerra.

Nel 178 a.C. l’esercito consolare partì da Aquileia senza il permesso ufficiale del Senato romano (che era il solo che potesse dichiarare guerra).

In questa fase la spedizione militare prevedeva che una flotta di dieci navi appoggiasse l’esercito sulla terraferma. La fanteria e la cavalleria erano comandate dal console Claudio Marcello e la flottiglia dal duumviro Gaio Furio. Il primo accampamento venne posto nei pressi del Timavo, all’epoca il fiume segnava il confine tra l’area veneta e quella istrica: alla sua foce vennero ormeggiate le navi da guerra romane. Onde prevenire interventi di altri popoli solidali dell’Adriatico orientale, i Romani formarono due gruppi di navi col compito di pattugliare l’Adriatico a sud e a nord di Ancona, affinché nessuno potesse correre in soccorso agli Istri passando alle loro spalle.

Nella seconda fase di avanzamento i Romani penetrarono sul suolo della penisola. Le due legioni consolari piantarono il campo a circa 7-8 km all’interno, ossia sull’altipiano del Carso triestino. Si ritiene che ciò avvenisse in qualche punto a ovest di Trieste.

L’accampamento legionario e l’approdo erano stati disposti secondo le rigide regole romane, il che significa che delle unità militari erano state incaricate della sicurezza degli accampamenti (guardie) e altre dovevano vigilare sulla strada che conduceva al porto (poiché da lì proveniva l’approvvigionamento di cibo e foraggi), come pure al fiume (si pensa che fosse il Timavo) donde giungeva l’acqua potabile.

Gli Histri avevano seguito attentamente il dispiegamento romano ordendo tattiche di assalto. Un mattino attaccarono un avamposto sui sentieri che conducevano al mare e al fiume. A causa di una pioggerellina i soldati di guardia dell’accampamento ebbero l’impressione che gli assalitori fossero molto più numerosi di quanto in effetti lo erano, motivo per cui si ritirarono. Ben presto il panico invase l’accampamento romano, un terrore eccessivo, per via della sorpresa e disorganizzazione, e quando qualcuno incominciò a gridare che bisognava retrocedere verso il mare, nel porto, la massa dei soldati si mise in fuga. I pochi che rimasero nell’accampamento, assieme al comandate della terza legione, dopo una breve e impari lotta furono tutti uccisi.

Così gli Histri conquistarono l’accampamento, nel quale trovarono cibo e bevande in quantità, sicché - secondo il racconto di Livio - si dettero a banchettare.

Ben presto tuttavia, ripresisi dalla sorpresa, e motivati dal desiderio di vendetta, i romani passarono al contrattacco.

Gli ufficiali fecero rientrare i soldati nei ranghi e li misero in marcia verso l’accampamento, dove - dice il racconto - sorpresero gli Histri sonnolenti e ubriachi, li sconfissero e li dispersero senza grandi difficoltà. Il re “stordito dalla gozzoviglia, venne in tutta fretta issato a cavallo dai suoi, e riuscí a fuggire”, mentre rimasero uccisi circa 8.000 Histri.

Due mercanti aquileiesi, che avevano raggiunto l’accampamento con un carico di vettovaglie poco dopo che i soldati romani l’avevano abbandonato, presi dal panico fuggirono ad Aquileia con la notizia dell’annientamento delle due legioni, della conquista dell’accampamento da parte degli Istri e della perdita dei viveri e degli equipaggiamenti. Col sistema dei corrieri, la notizia venne trasmessa a Roma, dove giunse qualche giorno dopo. Il Senato romano proclamò lo stato d’emergenza e decise il reclutamento di altre legioni di cittadini romani e di unità d’appoggio formate dagli alleati.

Dalla Liguria il secondo console, Marco Giunio Bruto, si precipitò in soccorso a Manlio Vulsone ad Aquileia.

Quando si resero conto che ad Aquileia c’era anche un secondo console, con un altro contingente militare, gli Histri si dispersero rifugiandosi nei propri castellieri.

Siccome era già autunno, anche l’esercito romano rientrò ad Aquileia per svernarvi. Nell’antichità si guerreggiava solamente dalla primavera all’autunno. Durante l’inverno, invece, gli eserciti si accampavano in posti ben protetti e non intraprendevano operazioni belliche.

Nell’anno 177 a.C. vennero eletti a consoli Gaio Claudio Pulcro e Tiberio Sempronio Gracco. Tramite sorteggio venne deciso quali territori affidargli: a Claudio spettò l’Istria, a Sempronio la Sardegna. Erano quelli infatti i territori dove quell’anno Roma avrebbe combattuto.

All’inizio della primavera successiva, i consoli dell’anno precedente, Giunio Bruto e Manlio Vulsone, si mossero con l’esercito contro gli Histri nonostante che non ne avessero facoltà, visto che il 15 marzo era scaduto il loro mandato consolare. Comunque la loro spedizione militare ebbe successo in quanto gli Histri non avevano ancora ricompattato le proprie forze in un unico esercito.

Quando Claudio Pulcro seppe ciò che stava avvenendo, nottetempo lasciò Roma diretto ad Aquileia. Da Aquileia si portò all’accampamento dei legionari, pretendendo da Giunio Bruto e Manlio Vulsone le insegne del comando, ciò che essi rifiutarono in quanto il console aveva trasgredito alle norme che regolavano una campagna di guerra. Anche i soldati, da lui avventatamente accusati di essere fuggiti un anno prima dall’accampamento, gli rifiutarono obbedienza.

Claudio Pulcro tornò a Roma, riuscendo a mettere insieme due legioni con le quali tornò in Istria.

Nel frattempo Giunio Bruto e Manlio Vulsone avevano posto sotto assedio il castelliere di Nesazio, nella Bassa Istria, dove si era ritirato il re Epulone. Era l’ ultimo caposaldo degli Histri, nel quale si erano probabilmente rifugiati coloro che erano ben decisi a non arrendersi ai Romani. Qui Claudio Pulcro sciolse il vecchio esercito e destituí i loro comandanti e continuò l’assedio con le sue due nuove legioni e le unità alleate di rinforzo.

La caduta di Nesezio è circondato da molti racconti ma sicuramente gli Istri persero la propria indipendenza ed i Romani risolsero il problema della pirateria istrica

 

 

Ivetic Egidio Istria nel tempo2006.

 

 

 

 

 

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