Le tradizioni natalizie in Friuli tra religione e paganesimo

 

(fonte Ministero della Cultura)

 

Nei giorni prossimi al Natale si fanno gli auguri di Buone Feste, si visitano gli amici e tutti cercano di far ritorno per passare il giorno di Natale insieme alla famiglia. La tradizione del ceppo, i suonatori ambulanti e i Balandanti

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Uno dei periodi dell'anno più importanti ed essenziali, per il benessere del popolo e degli animali, era il periodo che iniziava con il il Solstizio d'Inverno, iniziato il 22 dicembre. In particolare il periodo di fine/inizio anno era particolarmente importante in quanto c’era la lotta tra il bene e il male.

Nel popolo friulano, come in altri, in questo periodo era centrale il rito del fuoco, atto a rinforzare la luce e richiamare la fertilità e la vita. C’erano una serie di atti propiziatori attraverso tre metodi: divinazione del futuro, perché conoscere il futuro significa possederlo; eliminare il negativo dal passato (morte, malattia, tenebre); propiziare il futuro e trasmettere positività, tutto attraverso gli elementi basici, fuoco e acqua, e con parole, rumori, offerte e comunicazione con gli spiriti.

La tradizione del ceppo

Il rito natalizio iniziava con la scelta del ceppo natalizio, o zoc di Nadàl, o Nadalìn. Solitamente si trattava di un faggio o una parte di un vecchio gelso, che venivano scelti nel corso dell'anno e custoditi fino alla vigilia di Natale, quando venivano posti nel focolare di ogni casa.

Il ceppo veniva portato in casa accompagnato dai fanciulli che portavano dei lumi accesi.  Il padrone di casa benediva il ceppo con l’acqua santa e quindi lo metteva sul fuoco. Il ceppo doveva essere coperto con la cenere in quanto c’era la credenza che se la mattina di Natale il ceppo non bruciava presagiva la morte del padrone di casa entro l’anno.

Quella del ceppo di Natale  è considerata una delle più antiche tradizioni natalizie: si tratta di un'usanza risalente almeno al XII secolo e che fino al XIX secolo-inizio XX secolo era molto diffusa in vari Paesi europei, dalla  Scandinavia  fino alle Alpi, dalla penisola Iberica ai Balcani.

Il ceppo veniva lasciato ardere anche nelle successive dodici notti fino all'Epifania; i resti del ceppo venivano poi conservati, in quanto si attribuivano loro proprietà magiche: si credeva che favorissero il raccolto, l'allevamento, la fertilità delle donne e degli animali e la salute e che proteggesse dai fulmini e spesso venivano riutilizzati per accendere il ceppo dell'anno successivo.

Ad esempio a Parenzo, il ceppo era chiamato il Nonno, e quando si mangiava a tavola, veniva offerto al Nonno del cibo dal proprio piatto.

Il ceppo non veniva bruciato tutto durante la vigilia di Natale ma in alcuni casi veniva riacceso e bruciato a Capodanno e, infine, all'Epifania, sacralizzando i tre momenti salienti di questo periodo. Alla fine, i suoi carboni e la cenere erano considerati un amuleto che veniva sparso nei tre angoli della casa (per esempio a Cormons), o nel cesto della semina, nei campi, sotto le travi del tetto. Erano anche uno scongiuro contro gli incendi e i temporali, e si mettevano sopra la porta come protezione. Nel pordenonese si diceva: “Tanti giorni dura il ceppo, altrettanti saranno i sacchi del frumento”.

 

L'usanza del ceppo di Natale è attestata per la prima volta in Germania nel 1184. Dalla Germania la tradizione si diffuse anche in Scandinavia, nelle Alpi italiane, nella penisola balcanica e nella penisola iberica.

Da questa tradizione deriva anche quella del dolce chiamato ciocco natalizio o tronchetto di Natale, molto diffuso nei Paesi di lingua francese.

Durante la notte di Natale si cena davanti al fuoco mangiando alcuni dolci (colàz, mostazòn, mandolât) e bevendo vin brulèe.

Durante la vigilia di Natale, molte famiglie seguono l’uso romano: a pranzo si consuma un pasto leggero mentre a cena si fa un pasto abbondante. Il menù della sera delle famiglie ricche è costituito principalmente da piatti di magro: pesci, frutta secca, dolci e vino.

Tra i bambini c’è la gara di chi arriva primo alla messa di mezzanotte con la promessa che chi arriva primo troverà, al posto dell’acquasanta, del mandorlato.

Dopo la messa di mezzanotte a Gemona i fidanzati andavano all’osteria a mangiare trippe.

C’era la credenza che se nella notte di Natale, a mezzanotte, una ragazza si guardava allo specchio con i capelli sciolti avrebbe visto l’effige del suo futuro sposo.

 In alcuni paesi del Friuli, durante la vigilia e la notte di Natale, i ragazzi andavano di porta in porta per rappresentare il mistero (un’antica composizione drammatica in versi). In altri luoghi invece cantavano la canzone “la Stella”.

A Udine, durante la vigilia,  i suonatori ambulanti fanno le serenate sotto le case delle famiglie ricche per ricevere qualche soldo.

Nella zona di Latisana, i ragazzi con le candele accese entravano nelle case e cantavano per la famiglia in compenso ricevevano soldi e vino.

Nelle chiese, Il giorno di Natale, si allestiva il presepio con tante statuine di uomini e animali. Una tradizione che trova le sue origini dal presepio allestito da San Francesco nel 1223.

L’Oracolo dei 12 giorni

Durante le 12 notti che seguivano il Natale si propiziava il futuro. Osservando l'andamento meteorologico di questi 12 giorni, si prevedeva quello dei 12 mesi a venire. Si iniziava il calcolo dal 25 dicembre e si terminava il 6 gennaio. Altrimenti, in alcuni posti, da Capodanno al 12 gennaio. Questi pronostici erano detti Calendis, o Albis, o Mesàis.

I Balandanti

I Balandanti erano uomini misteriosi che nella notte di Natale si aggirano per le campagne spinti da una forza interna. Se si incontrano negli incroci delle strade si fermano a banchettare divorando la carne di una giovenca oppure di un bue, quindi si divertono a gettare all’aria le ossa fino a mattina. Alla mattina ricompongono le ossa, le rivestono della pelle e l’animale torna in vita ma rimarrà magro per sempre.

 Nelle Valli del Natisone ci celebravano le Tre Notti, da Natale e qui la memoria dei Balandanti. Si racconta che essi camminavano sui monti con fiaccole splendenti. I giovani del paese si opponevano a questi fuochi di “strioni” con le fagle (uno strumento “maschio” usato per sfilacciare la punta del bastone e che veniva seccato per essere usato come fiaccola rituale), correndo per i campi, i filari, illuminando la terra e gli incroci, augurando il buon raccolto e scongiurando i cattivi influssi. All'imbrunire, il vecchio di casa, ma sovente la padrona di casa, camminava a sua volta nei campi, benedicendoli con acqua santa e cantilenando formule augurali: “Séimo, séimo...”, ovvero “Seminiamo, seminiamo l'anno grasso, abbonandante, col buon pane di casa...”

 

 

V. Ostermann, La vita in Friuli, 1894

 

 


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