Severo

Severo

Severo fu eletto Patriarca di Aquileia dopo la morte di Elia e, come il predecessore, rimase fedele allo scisma tricapitolino. Mantenne la sede del Patriarcato a Grado. Proprio nei primi mesi della sua funzione episcopale, Severo fu tradotto con forza a Ravenna dall'esarca bizantino Smaragdo e costretto a sottomettersi all'autorità del papa di Roma. Infatti arrestò Severo e tre dei suoi suffraganei, Giovanni di Parenzo, Severo di Trieste e Vindemio di Cissa, che si trovavano probabilmente a Grado per la sua consacrazione episcopale. Essi furono condotti a Ravenna e persuasi a entrare in comunione con il vescovo Giovanni, avversario dei Tre Capitoli.

"Il patrizio Smaragdo venuto da Ravenna a Grado, lo tolse in persona dalla basilica e colla violenza lo condusse a Ravenna con tre altri vescovi istriani, cioè Giovanni di Parenzo, Severo (di Trieste) e Vindemio di Cissa, e con Antonio, già vecchio e difensore della chiesa. E minacciando loro l'esilio, e facendo loro violenza, li costrinse a comunicare con Giovanni vescovo di Ravenna che condannava i tre capitoli"

Rientrati in patria e respinti come rinnegati dai seguaci dello scisma, i quattro vescovi si videro costretti a ritrattare l’abiura in un sinodo di dieci vescovi convocato a Marano, piccolo centro della laguna veneta.

"il popolo non volle comunicare con loro, né gli altri vescovi li accolsero."

Nel frattempo Smaragdo era stato richiamato a Costantinopoli ed era stato sostituito dal patrizio Romano, uomo indifferente alle questioni dottrinali. Vista questa fortunata coincidenza, dieci vescovi, con a capo Severo, si riunirono in sinodo a Marano. Poiché subito dopo Paolo Diacono aggiunge i nomi di dodici vescovi che si erano opposti a Severo, è chiaro che non tutti erano intervenuti al concilio di Marano: si trattava di Pietro di Altino, Chiarissimo di Concordia, Ingenuino di Sabiona, Agnello di Trento, Iuniore di Verona, Oronzio di Vicenza, Rustico di Treviso, Fonteio di Feltre, Agnello di Asolo, Lorenzo di Belluno, Massenzio di Giulio Carnico e Adriano di Pola. Solidali con il patriarca Severo furono invece: Severo di Trieste, Giovanni di Parenzo, Patrizio di Emona, Vindemio di Cissa e Giovanni di Celeia. L’elenco complessivo dunque, senza contare il patriarca, comprende diciassette nomi tra oppositori e difensori di Severo. La testimonianza di Paolo Diacono però non è contraddittoria: lo storico infatti, secondo la tecnica degli annalisti medievali, allinea su uno stesso piano notizie diverse senza pretesa di stabilire fra esse uno stretto rapporto e fermando l’attenzione su due fatti differenti: la notizia del sinodo maranese, dov’erano intervenuti dieci vescovi, e i nomi dei vescovi aderenti e contrari alla forzata conversione di Severo. Perciò dal racconto di Paolo Diacono non sappiamo quali veramente siano stati i vescovi intervenuti a Marano.

L’amarezza e l’indignazione di Gregorio Magno, succeduto a Pelagio II nel 590, si esprimono in una lettera inviata a Severo nello stesso anno in cui si ordinava di presentarsi insieme ai suoi seguaci «ad beati apostoli Petri limina» per dirimere mediante un sinodo l’intera vertenza (Gregorii I Papae..., cit., pp. 16 s.).

Severo e gli altri vescovi dissidenti però, anziché acconsentire alle richieste del papa e alla iussio imperiale da lui avanzata, preferirono inviare suppliche all’imperatore Maurizio, intese a stornare l’intervento della violentia militaris per imporre l’esecuzione dell’ordine impartito da Gregorio Magno a Severo e ai suoi suffraganei. Purtroppo ci è giunto solo il testo della supplica dei vescovi delle terre invase, mentre l’esistenza di una supplica di Severo e di una terza dei suoi suffraganei in terra di dominio imperiale è attestata dal rescritto di Maurizio a Gregorio Magno (p. 22), dove si precisa altresì che cosa intendessero i supplicanti per violentia militaris. I tre ricorsi dovevano certo arrivare alle stesse conclusioni, se l’imperatore li accomunava tutti in un’identica valutazione.

I vescovi che sottoscrissero la supplica rivolta a Maurizio nel 591 erano dieci, come quelli del concilio di Marano, su cui siamo informati da Paolo Diacono, nel quale Severo aveva presentato il libello di discolpa. Si è creduto erroneamente che, oltre a presentare tale libello, Severo avesse già elaborato con i vescovi che ne seguivano la ‘linea’ anche la protesta contro l’intimazione papale di accedere al giudizio di un sinodo romano con l’intento di risolvere lo scisma. Viceversa la coincidenza numerale sembra puramente fortuita, mentre le circostanze sono diverse: il concilio di Marano fu tenuto per regolarizzare la posizione di Severo in rapporto ai suffraganei dopo l’episodio ravennate; la supplica all’imperatore Maurizio invece fu scritta in risposta al tentativo di papa Gregorio nel corso di un’altra assemblea («totius concilii nostrae parvitatis haec est deliberatio») durante uno dei momenti più acuti della crisi politica ed ecclesiastica, e soprattutto in tale occasione Severo fu assente.

Che si sia trattato di due distinte riunioni, lo prova il fatto che fra i sottoscrittori della supplica a Maurizio appaiono i vescovi Augusto e Felice come reggitori delle sedi di Concordia e di Treviso, mentre nell’elenco episcopale di Paolo Diacono per il problema di Severo quelle sedi sono tenute da Chiarissimo e da Rustico: doveva essere trascorso dunque un certo lasso di tempo fra il momento del sinodo maranese, con quello schieramento di vescovi pro e contro Severo, e il momento successivo della supplica a Maurizio.

Che Severo fosse assente, lo dice chiaramente il testo della supplica (trattando del patriarca, i vescovi scrivono «nobis absentibus et a se ad praesens divisis»); mentre non c’è dubbio che al sinodo di Marano fosse presente Severo, dal momento che egli non avrebbe potuto fare la sua seconda abiura a Grado sotto gli occhi delle autorità bizantine.

Il tenore della supplica pervenutaci è della massima importanza storica, anche perché ci introduce nel mondo psicologico di quell’episcopato scismatico; ci svela la piattaforma su cui era impiantata l’opposizione di quei vescovi, la loro mentalità, il loro modo di vedere e di giudicare i fatti e, non ultima, la loro astuta diplomazia. Costoro rilevavano infatti che, se l’agitazione non fosse stata placata dal potere sovrano, i loro successori non si sarebbero più presentati per ricevere la consacrazione alla chiesa di Aquileia, dove erano tenuti a promettere per iscritto piena fedeltà alla sancta res publica, minacciando così di dissolvere la metropoli aquileiese, per mezzo della quale l’imperatore ancora dominava sulle chiese dei territori passati in mano ai barbari.

La morte di Severo deve essere avvenuta verso la fine del 606, seguita dall’elezione del suo successore in un clima assai tumultuoso e di scontro tra i partigiani dello scisma e l’esarca Smaragdo: i primi, rifugiatisi in territorio longobardo, elessero l’abate Giovanni, mentre Smaragdo potè imporre a Grado l’elezione di Candidiano, favorevole all’unione con Roma.

Date

26 Novembre 2020

Tags

Grado, Patriarchi, Sergio Tavano