Il primo giuramento verso il duca Leopoldo venne stipulato nell'agosto del 1382; la dedizione verrà poi accettata dalla casata d'Asburgo a settembre.
L'evoluzione di Trieste, superata la fase della colonia romana, appare tra alto e basso medioevo strettamente connessa con il suo ruolo di sede ecclesiastica suffraganea dell'arcivescovato di Aquileia. In altre parole, le prime basi dell'autonomia triestina appaiono connesse all'ordinamento vescovile, dalla cui base si sviluppano le premesse per quella fiera autonomia caratteristica della città.
Nel 984 Lotario concede al Vescovo di Trieste e ai suoi successori l'esercizio pieno ed esclusivo delle funzioni pubbliche della città
Specificatamente, all'interno delle lotte per il regno d'Italia, è uno dei concorrenti alla successione, Lotario, a concedere nel 984 al Vescovo di Trieste e ai suoi successori l'esercizio pieno ed esclusivo delle funzioni pubbliche della città, all'epoca circoscritte alla zona “murata” e a un contado circostante di quattro chilometri e mezzo.
Successivamente, nella seconda metà dell'XI secolo, un gruppo di abitanti si riunisce in Comune per la gestione dei beni pubblici, rivendicando una sovranità compresa tra Longera, Sistiana e il mare.
La progressiva presa di coscienza cittadina si muove in uno scenario regionale dominato da forze ben più potenti, a partire dai Conti di Gorizia, di Duino e soprattutto da una Venezia che vive un periodo di eccezionale espansione economica e militare. E proprio la Repubblica Marinara impone, durante l'infamia della quarta crociata che la vedrà saccheggiare Bisanzio, un patto di fidelitas (1202).
Verso i primi anni del XII secolo la città annovera all'incirca duemila abitanti. La crescita della città si accompagna, come in tanti comuni medievali del periodo, a un moltiplicarsi degli statuti che giungono a costituire un corpo statuario articolato e corposo che si può definire ormai completo nel 1318.
A seguito del fallimento della Congiura dei Ranfi (1313), il governo comunale rifiuta il modello della signoria, preferendo un governo collegiale destinato a trasformarsi in quel patriziato sinonimo della “vecchia” Trieste.
Verso il 1350 paradossalmente Trieste ha una forma di governo non così diversa da quella veneziana: il Podestà governa con tre giudici, affiancato da un Consiglio di 150 cittadini eletti su base ereditaria e vitalizia; a ciò si aggiunge un Consiglio “dei sapienti” composto dagli stessi consiglieri scelti ad hoc dai giudici. Si tratta di un modello che già dimostra una (doppia) influenza: aristocratica, nella presenza dei giudici e del Podestà; e oligarchica, grazie alla struttura ristretta del Consiglio. Il Comune nel frattempo era cresciuto fino a raggiungere le cinquemila anime con una graduale espansione nella zona dell'attuale Corso Italia; predominava un'economia basata sui settori del sale, del vino e dell'olio.
In questo contesto non è la crescita di Trieste ad attirare le ire della Serenissima, ma la competizione per il predominio regionale ad opera di due potenze locali, una vecchia e una nuova.
Il Patriarcato di Aquileia tenta di ristabilire i propri privilegi nei confronti dei feudatari; mentre la casa reale d'Asburgo inizia a farsi notare per forte presenza territoriale tra Carinzia, Stiria, Tirolo e Carniola.
Tanto per Aquileia, quanto per gli Asburgo questo piccolo Comune affacciato sul mare ha un'importanza strategica e ideologica; e prima che possano annetterlo ai propri domini, Venezia muove d'anticipo. Le truppe veneziane invadono il contado di Trieste, la cingono d'assedio: la milizia urbana viene facilmente sconfitta e la città obbligata a firmare un nuovo patto di subordinazione.
In quello stesso anno – il 1369 – Trieste si propone agli Asburgo per la prima volta, dichiarando ai duchi che i territori triestini sono loro “domini naturales et hereditarii”. Ma la casa reale non interviene, preferendo mercanteggiare con Venezia.
Ciò non di meno è questa prima guerra a sancire una svolta nella storia della città, perchè le antipatie nei confronti della Serenissima crescono molto.
La sconfitta della flotta veneziana ad opera di quella genovese (1379) e le alterne vicende della guerra di Chioggia consentono a Trieste di riconquistare l'autonomia umiliata dai patti di subordinazione.
Il Consiglio triestino guarda pertanto a come consolidare la propria libertà, prima che la Serenissima riacquisti forza e insanguini nuovamente le strade cittadine. Il primo tentativo è nei confronti del Patriarcato di Aquileia (luglio 1380); una potenza molto più vicina e “amica” rispetto agli Asburgo. Ma il tentativo funziona a metà; da un lato, quando ve ne sarebbe necessità, non giungono aiuti; inoltre il Patriarca, il principe tedesco Marquardo, muore l'anno successivo (3 gennaio 1381).
Trieste ritorna pertanto a guardare agli Asburgo; e di propria volontà, tanto “in” autonomia, quanto “per” l'autonomia, elabora un atto di dedizione.
Il primo giuramento verso il duca Leopoldo viene stipulato nell'agosto del 1382; la dedizione verrà poi accettata dalla casata d'Asburgo a settembre.
Si tratta di una mossa significativa non solo per l'atto della dedizione, ma per il suo destinatario: a differenza che con Aquileia o con i comuni medievali, il riferimento stavolta è un'autorità “imperiale”. Non si tratta più di un doge, di un Podestà, persino di un'autorità ecclesiastica: gli Asburgo sono l'incarnazione stessa di un potere per sua natura sovranazionale. Un'autorità che supera di slancio le diverse entità rionali, cittadine, comunali, persino regionali.
Si è cercato lungamente di svalutare la Dedizione comparandola ad altri patti di subordinazione compiuti con Venezia o con gli stati vicini. Tuttavia solamente nel caso degli Asburgo la Dedizione è nei confronti di un'entità sovrastatale, capace di superare le “piccolezze” dei governi locali.
In tal senso Trieste conquista per la prima volta una dimensione europea, esplicitamente preferendo un principato territoriale che già esercitava il suo dominio su più popoli e più etnie. Contemporaneamente quest'identica scelta consente a Trieste di conservare la propria autonomia, i propri privilegi, le proprie consuetudini: dall'infinitesimamente grande degli Asburgo deriva l'infinitesimamente piccolo dell'autonomia di Trieste. Dopo un periodo di stasi legislativa che corrisponde non a caso all'egemonia veneziana, Trieste riparte ad approvare leggi e ad aggiornare il proprio corpo statuario, delineando le basi di quello che diverrà il Patriziato dell'età moderna.
E riconnettendosi all'autonomia di Lotario – legata al potere vescovile – sono proprio i festeggiamenti religiosi nell'occasione di San Giusto, all'epoca festività del 2 novembre, a essere un'occasione per esibire pennoni e bandiere d'un colore nuovo: bianco e rosso, araldica dell'Austria.
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Dell'Acqua, Dedizione di Trieste all'Austria, 1856
ATTO DI ACCETTAZIONE DELLA DONAZIONE DI TRIESTE, DATATO 30 SETTEMBRE 1382, INVIATO DAL DUCA LEOPOLDO D’AUSTRIA AL DOMINIO TERGESTINO.
Nel nome del Signore, Amen. Noi Leopoldo per la grazia di Dio Duca d'Austria, Stiria, Carintia e Carniola, Signore della Marca, e di Pordenone, Conte di Absburgo, del Tirolo, di Ferrete e di Kiburgo (Inriburg), Marchese di Burgovia e di Treviso, Landgravio di Alsazia.
Riconosciamo e confessiamo per Noi, pei nostri eredi, e pei nostri successori presenti e futuri, che i nobilli, sapienti e fedeli a noi dilettissimi, il Comune, il Consiglio ed i Cittadini della città di Trieste, considerando i carichi grandi ed insopportabili della città e le oppressioni che ebbe a soffrire finora per il frequente cangiamento di dominio siccome è notorio; considerando che i patti e le convenzioni coi quali diedero al patriarca di Aquileja, il Reverendissimo Padre in Cristo Marquardo or defunto, ed alla sua chiesa, la città ed il distretto di Trieste, sieno stati manifestamente violati ed infranti; considerando inoltre che confinando alcune terre e distretti e domini nostri col loro territorio possiamo difenderli più validamente che qualunque altro principe e potentato; considerando precipuamente che alcuni progenitori nostri di buona memoria godevano nella città di Trieste buoni diritti e li esercitarono, i quali non immeritamente si rinnovano in noi per successione ereditaria, hanno inviato gli onesti e sapienti Adelmo dei Petazzi, Antonio de Domenico, e Nicolò de Picha Procuratori della città e del distretto di Trieste, Sindici, Nuncii ed Ambasciatori a ciò legittimamente ed insolidariamente costituiti con pienezza di poteri chiamando Noi in loro vero e naturale Signore e Principe e coll'aiuto di Dio in precipuo difensore della detta città, dei castelli di lei e del distretto, degli abitanti e dei distrettuali, siccome appare da pubblico stromento del comune e della città di Trieste sigillato col sigillo della Comunità, e consegnatoci dai sopradetti Procuratori e Sindici.
Noi Duca Leopoldo riconoscendo come benefizio grazioso la placida loro obbedienza abbiamo accettato ed ammesso gli infrascritti articoli, modi ed osservanze con essi loro e con tutti gli abitanti della città e del distretto, siccome qui sotto si contiene.
Noi Duca gli eredi e successori nostri dovremo governare, mantenere e difendere la città ed il distretto di Trieste, ed i castelli, tutti i cittadini e gli abitanti, i loro beni e possessioni in qualunque parte si trovino contro qualunque persona, siccome facciamo degli altri nostri fedeli e sudditi, e siccome abbiamo consuetudine di fare; Noi non venderemo la predetta città di Trieste, i di lei diritti e pertinenze a nessuna persona fisica o morale, né li obbligheremo,affitteremo, daremo in enfiteusi o feudo in qualsiasi modo; Noi anzi non alieneremo dalle nostre mani e potere la città, i castelli, il distretto dovendo rimanere in perpetuo inviolabilmente attaccata al Principato e titolo dei Duchi d'Austria.
Noi Duca, i nostri eredi e successori avremo ed abbiamo il diritto di preporre alla città di Trieste il Capitano a nostro beneplacito, quantunque per le usanze il Capitano della città si potesse cangiare ogni anno; volendo riservato a Noi, ai nostri eredi e successori, di tenere in carica il Capitano fino che piace a Noi, a meno che non sia meritevole di venire cangiato per cause ragionevoli. Il Capitano da Noi deputato dovrà tenere presso di sè due Vicari idonei periti dei sacri canoni e delle leggi civili siccome sompagni, e tenere famulizi, come è disposto dagli statuti e consuetudini di Trieste. Il quale Capitano percepirà dal Comune e dal Consiglio di Trieste quattro mila lire di piccoli per onorario suo e dei suoi. Sarà dovere del Capitano di reggere, governare e mantenere fedelmente la città ed il distretto, i cittadini e gli abitanti secondo li statuti e le consuetudini di Trieste; i quali statuti e riforme dovranno essere valide e ferme anche pei posteri senza dolo e frode. Per le sentenze del Capitano, dalle quali si vorrà appellare, il Consiglio di Trieste dovrà due volte l'anno, cioè alla fine di ogni sei mesi, deputare Sindici ed Officiali idonei, i quali abbiano a pronunciare secondo gli statuti e le consuetudini, se la querimonia sia giusta.
Di ogni condanna pecuniaria, delitti, eccessi, multe, in qualunque modo avvenute in Trieste, la metà integra spetterà a Noi siccome a naturale Signore. Le condanne suddette, il vino di cui più abbasso, i dazi, le gabelle, le dogane ed altre esazioni che spettano al dominio di Trieste, si esigeranno da quelli che Noi, i nostri eredi e successori troveranno di deputare ed esigerli; però la metà delle condanne dovrà passare al comune di Trieste affinché possa pagare l'onorario di 4.000 lire al Capitano, e dare a Noi ed ai nostri eredi e successori l'annuo tributo del vino di cui si dirà più abbasso; e possa pagare i salari dei medici e degli ufficianti di detta città, riparare le mura, le porte. le strade e provvedere ad altre necessità.
Noi, i nostri eredi e successori avremo la potestà di imporre alla predetta città dazi, mude, gabelle, dogane e di esigerli a nostro piacimento entro o fuori delle porte d'essa città, però colle seguenti condizioni: di tutte le merci che verranno esportate dalla città di Trieste per la via di mare, si pagheranno li dazi, le mude, le gabelle, le dogane al nostro dominio, eccettuato il vino di Ribolla, pel quale non si pagherà cosa alcuna. Similmente di ogni mercanzia che verrà a Trieste per la via di mare si pagheranno le imposte, eccettuato ciò che si introduce in Trieste per la via di mare per servire all'uso e consumo dei cittadini e degli abitanti, come frumento, sale, vino, uve, ed altri commestibili, i quali generi devono essere totalmente esenti.
Qualunque animale sortirà dalla città di Trieste e dal distretto per portarsi in altre regioni per la via di terra, sarà soggetto al dazio, muda, dogana. Gli animali, somieri ed altri che entrano per la via di terra nella città di Trieste e nel distretto per uso degli uomini, purché non si trasportino in altre parti, devono essere totalmente esenti da imposta. La città, il comune, ed i cittadini di Trieste dovranno e devono scegliere il Consiglio, gli Officiali, ed Officianti secondo gli statuti e consuetudini della città di Trieste.
I cittadini di Trieste, i loro eredi e successori dovranno ogni anno nel giorno di San Giusto martire, il quale cade nel dì 2 di novembre, dare a Noi, ai nostri eredi e successori nella città di Trieste a titolo di censo annuo cento orne di vino Ribolla della migliore qualità che si potrà avere in quell'anno Fino a che i due castelli di Montecavo e Moncolano verranno custoditi a spese di Trieste, il Capitano nostro si farà dare giuramento corporale dai custodi che ogni mese verranno mandati dai cittadini, che dessi coi castelli saranno fedeli ed obbedienti alla nostra magnificenza, ai nostri eredi ed ai nostri successori, e ciò si osserverà fino a che prenderemo in consegna detti castelli, e vi destineremo alla custodia altre persone.
Per ultimo la detta città ed i di lei abitanti non verranno minimamente impediti nei loro introiti e redditi, né aggravati più di quello che sopra fu detto, se pur ciò non avvenga a domanda nostra o dei nostri successori, e di beneplacito dei cittadini e distrettuali.
Noi Duca Leopoldo tutte e singole le cose soprascritte abbiamo approvato ed approviamo, di certa nostra scienza per noi, pei nostri eredi e successori ricercando l'onesto notaro ed i nobili infrascritti a voler sottoscrivere le presenti in testimonianza di verità.
Dato e fatto nel nostro castello di Gratz, nella sala ducale l'anno del Signore mille trecento ottantadue, indizione quinta, il dì ultimo di settembre all'ora dei vesperi o quasi, in presenza del Notaro pubblico infrascritto, del Reverendissimo Padre in Gesù Cristo Federico vescovo di Bressanone, Cancelliere della nostra Curia ducale; degli egregi e valorosi Goffredo Mulner, ed Enrico Gessler vassalli della nostra Curia ducale, e Magistrati della camera, di Giovanni Rischach e Flach vassallo e nostro Consigliere, dei provvidi e discreti Conrado Impiber, ed Andrea pievani nel detto Vico, nella Marca presso Sittich delle diocesi di Seckau e di Aquileja, e di molti altri testimoni chiamati e pregati specialmente per quest'atto.
Ed io Paolo del fu Ulmano da Castelrut, chierico della diocesi di Bressanone Notaro pubblico per autorità imperiale, a motivo che Burkardo de Stain della diocesi di Costanza per la stessa autorità pubblico Notaro è impedito da altri gravi negozi, pregato da lui con grande diligenza e insistenza di assisterlo nella scrittura di questo istromento lo scrissi tutto di proprio pugno, lo ho redatto in questa pubblica forma, e vi apposi il segno del mio Tabellionato in testimonio della verità, così rogato da ambedue le parti.
Io Burkardo di Stain al Reno, diocesi di Costanza, Notaro giurato per pubblica autorità, fui presente a tutte le singole sopra esposte, mentre si trattavano ed a richiesta d'ambedue le parti lo ho redatto nella presente forma pubblica, ma impedito da altri ardui affari feci scrivere il presente instromento da altra persona, la di cui scrittura io approvo come fosse mia propria, e riconosco che il suggello del suddetto illustrissimo Principe fu appeso al presente istromento in certezza e migliore evidenza delle cose premesse.
Scritto da: Andrea Acanfora
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