Il X secolo è conosciuto principalmente, nella storiografia, come il "secolo di ferro".

Il X secolo è conosciuto come il "secolo di ferro". I primi anni di questo secolo sono caratterizzati dalle scorrerie degli Ungari e dagli sforzi del patriarca Federico per difendere la Marca del Friuli

#secolodiferro

Il X secolo è conosciuto principalmente, nella storiografia, come il "secolo di ferro". Fu un'epoca drammatica e turbolenta per l'intera Europa: l'impero carolingio entrò in crisi, incapace di garantire i propri possedimenti da invasioni straniere e faide interne; la Chiesa di Roma
attraversò una delle fasi più nere della sua millenaria storia, vittima delle ambizioni politiche dell'aristocrazia romana; l'autorità si andò spezzettando in mille potentati, fragili e continuamente in lotta fra loro.

Era un periodo infelice,  l’Europa si stava imbarbarendo, l’ignoranza era massima,  c’era una estrema depravazione dei costumi, tutti attendevano timorosi e spaventati la fine del mondo.

Le terre erano per la maggior parte coperte da boschi e paludi, o giacevano incolte e abbandonate.

Il clima non era favorevole ad una ripresa infatti faceva freddo e pioveva molto. I fiumi straripavano spesso in quanto non c’era una manutenzione idraulica. I raccolti erano poveri al punto tale che furono proibite le esportazioni di grano.

Il vescovo di Costanza scrisse: ”Le città italiane restano vuote di cittadini e i campi desolati sono privi di contadini; i campi biancheggiano  delle ossa spolpate dei morti, così che è da credere che i vivi non superino ormai i morti”.

L'intero Occidente medievale si trovò privo di guide e dovette ricercare da capo sicurezza e stabilità.

In questo periodo ci furono violente incursioni degli Ungari. Le incursioni ci furono in Italia, Germania e in Francia. Le forze imperiali non riuscirono a difendere i propri territori dalla furia dei magiari e si dovettero pagare importanti tributi per dirottare le incursioni ungare.

In Italia, le lotte per il potere tra piccoli principati raggiunsero l'apice. Il marchese Berengario del Friuli tentò più volte di diventare re della penisola. Ma nell'898 la sua spedizione contro gli Ungari si tradusse in un'umiliante disfatta presso il fiume Brenta. Berengario uscì pesantemente screditato dalla vicenda, ma non rinunciò alle sue ambizioni. Nel 915 diresse con perizia una spedizione contro le basi saracene sul Garigliano, distruggendole. Il papa Giovanni X lo incoronò imperatore. Ma solo nove anni più tardi venne sconfitto da Rodolfo di Borgogna, e dovette definitivamente uscire di scena.

Le scorrerie degli Ungari continuarono per molto tempo. Nel 924 Pavia fu assediata dagli Ungari ed ebbe fine solo dopo aver pagato un consistente tributo. Fu Ottone I di Sassonia a sconfiggerli definitivamente nella sanguinosa battaglia di Lechfeld (10 agosto 955). Gli Ungari ripiegarono in Pannonia e fondarono il Regno di Ungheria.

In quegli stessi anni, nella marca friulana, il patriarca Federico cercò di organizzare una resistenza per salvare il territorio friulano dagli Ungari.

Politicamente la marca di Verona fu istituita nell'888 dal re d'Italia Berengario I, che decise di porre la sua capitale a Verona, relegando a un ruolo subalterno la marca del Friuli, che in precedenza era stata il principale centro di potere dell'Italia nordorientale. Il territorio della marca si estendeva tra il fiume Adda, il fiume Po e i confini orientali del regno, ricalcando i confini dell'Austria longobarda. 


La marca denominata «Veronensis et Aquileiensis».

La marca denominata «Veronensis et Aquileiensis». Clicca sull’immagine per ingrandire

Al suo interno comprendeva circoscrizioni minori come la marca del Friuli, la marca di Trento e la marca d'Istria

Il patriarca Federico venne nominato nel 901 (fino alla sua morte, 922) dopo la morte del patriarca Valperto.

Di probabile origine slava anche se alcuni lo vogliono figlio naturale dell’imperatore Carlo il Calvo. Le cronache del tempo lo identificarono come un patriarca valoroso.

Dato la contemporanea inazione dei marchesi del Friuli, Federico si incaricò in prima persona di organizzare le difese contro il nemico, accrescendo in tal modo il prestigio del Patriarcato ed acquisendo nuovi castelli e nuove terre.

Nel 902-904 ci furono nuove scorrerie di Ungari. Federico raccolse un buon numero di soldati friulani e molti delle province vicine. Con coraggio si oppose alle continue scorrerie degli Ungari.

Per il coraggio dimostrato, Berengario gli donò il Castello di Pozzuolo (3 ottobre 921) nel Friuli con il territorio di un miglio intorno.

Gli Ungari tornarono nel 904, 906 e nel 910.

Il clero rafforza il suo potere

Tra il IX ed il X secolo si nota un rafforzamento del patrimonio nelle mani dei vescovi. Gran parte delle donazioni di beni demaniali alle chiese e ai monasteri friulani rientra piuttosto in quella che fu definita per il periodo berengariano «dissoluzione del potere pubblico»

Il maggior peso dei vescovi non emerge solo dalla maggiore chiarezza delle fonti, ma anche perché il ruolo del marchese friulano è essenzialmente da riferirsi ad azioni militari di rilevanza sovraregionale.

Successivamente, l’impotenza di fronte agli invasori, resa manifesta dall’impossibilità di dar vita ad una difesa unitaria, favorirono la nascita di molte fondazioni monastiche.

Il clero del Friuli e il suo contributo militare e amministrativo

L’organizzazione regia ed imperiale in Italia prevedeva che conte e marchese esercitassero le principali funzioni pubbliche, e tra esse c’era la difesa del popolo. Tutto questo si esplicitava sostanzialmente nell’esercizio delle armi in stretta aderenza alle strategie imperiali, nel ruolo di riscossione dei tributi pubblici, e più in generale nelle funzioni amministrative anche legate alla tutela del patrimonio pubblico.

A partire dal X secolo alcune di queste prerogative vennero esercitate anche dai vescovi all’interno delle città ed in alcuni casi delle diocesi.

In questo periodo c’era un impegno degli ecclesiastici come supporto all’attività militare. Il più rappresentativo riguarda il patriarca di Aquileia che sicuramente, nei secoli X e XI, rivestì tra i diversi obblighi come ad esempio  affiancare l’imperatore in alcune imprese militari.

Il patriarca di Aquileia, che nel corso del X secolo era già in fieri un grande principe territoriale, risultava certamente inquadrato nel contesto delle strategie imperiali, e come tale doveva assumersi alcuni precisi oneri tra i quali l’ assistenza in caso di guerra del proprio signore.

L’amministrazione della giustizia era una prerogativa dei funzionari pubblici, ma il sistema carolingio prevedeva a questo riguardo anche forme di compensazione e di raccordo tra il centro e la periferia che favorirono l’entrata in questo apparato del corpo ecclesiastico.

Col passare del tempo, la presenza degli ecclesiastici ai vari placiti diviene tutt’altro che episodica, fino a trovare addirittura i vescovi impegnati in funzioni giudicanti.

Nel IX secolo, l’imperatore descriveva un’organizzazione studiata sin nei dettagli, dove in ogni villa l’arciprete, su mandato del vescovo, avrebbe provveduto all’esecuzione delle penitenze pubbliche.

Verona, un luogo dove esiste maggiore documentazione, era il luogo di relazione tra la penisola italica ed il regno di Germania, si celebravano la maggior parte dei placiti presieduti dall’imperatore, e tra i membri del collegio giudicante si trovava spesso impegnato anche il patriarca aquileiese, a volte direttamente in qualità di delegato imperiale.

Il patriarca di Aquileia era una figura strettamente connessa alle alte sfere della politica imperiale. Ad esempio, all’epoca di Carlo Magno, il patriarca Paolino era uno strettissimo collaboratore e membro della stessa corte.

A partire dal X secolo il patriarca friulano diviene sempre più un riferimento istituzionale particolarmente importante per la politica imperiale, in affiancamento alla figura del conte.

In questo quadro ci fu il distacco della marca Veronese ed Aquileiese dal regnum italiae e la sua unione alla Baviera sancita da Ottone I nella Dieta di Augusta (952).

La marca da questo momento viene governata da una figura di altissimo livello della familia imperiale, il duca di Baviera Enrico il Leone, potenziale e temuto concorrente del fratello Ottone I. Questo importante passaggio si concretizza in un ulteriore indebolimento della figura del conte-marchese del Friuli, e limitava i patriarchi di Aquileia.

Negli stessi anni si registra l’aumento degli interventi degli imperatori germanici nella nomina dei titolari di vescovati.

 

In questo periodo trova il suo massimo splendore l’Abbazia di Sesto.

L’origine di Sesto deve essere ricondotto all’epoca pre-romana, come ci confermano i numerosi reperti archeologici  rinvenuti nel territorio.

La romanità di Sesto è ribadita dal suo stesso nome: Sesto era una statio, ovvero un posto militare situato al sesto  miliario della strada che collegava Concordia con il Norico chiamata via Germanica.

Il monastero venne fondato ad opera di alcuni esponenti della famiglia ducale friulana nella pianura del Friuli occidentale intorno alla metà del VIII secolo, sulla scia di altre iniziative analoghe del regno longobardo in Italia centro settentrionale.

L’Abbazia di S. Maria in Silvis (così denominata perchè allora immersa in una estesa selva, dal latino silva) venne fondata intorno alla prima metà dell’VIII sec. d.C. Nel 762 tre nobili longobardi (Erfo, Marco e Anto), donarono tutti i loro beni a quello che all’epoca era un monastero maschile, rendendolo così prospero.

Con l’imperatore Berengario, l’abbazia raggiunge il massimo splendore

A pochi giorni dall’incoronazione a re d’Italia seguita alla deposizione di Carlo il Grosso (888), Berengario dà avvio ad una serie di trasferimenti di diritti pubblici e di beni di rilevanza pubblica (in particolare fortificazioni e patrimoni afferenti al demanio statale) a beneficio delle sua numerosa clientela friulana e veneta240.

L’aspetto più rilevante della politica di Berengario nel territorio veneto e friulano riguarda proprio il più stretto rapporto con le chiese locali, che sono le realtà che più collaborano con l’imperatore

Con Berengario, la fondazione monastica sestense giunge dunque al momento di massimo splendore sia per l’estensione del suo patrimonio che per il prestigio che circonda la stessa chiesa, arrivando in poco più di un secolo ad ampliare notevolmente i propri diritti nella marca friulana.

A partire da questo periodo si percepisce pure la trasformazione del monastero originariamente legato alle donazioni familiari di un gruppo di aristocratici in un vero e proprio monastero regio, che diventa il perno territoriale di un vasto sistema di possedimenti, collocato nell’area più fertile del Friuli occidentale, dove si alternano campi coltivati a grandi boschi di pianura

Nell’899 Sesto subì la devastante invasione degli Ungari, che la distrusse quasi completamente, ma tra il 960 e il 965 l’abate Adalberto II iniziò l’opera di ricostruzione e l’Abbazia accrebbe la sua potenza non solo sul piano religioso, ma anche civile, tanto da assumere l’aspetto di castello medievale, con il suo sistema difensivo formato da torri e fossati.
Nel 967 Ottone I, vincitore degli Ungari e restauratore del Sacro Romano Impero, donò al Patriarcato di Aquileia l’Abbazia di Sesto.

Il territorio di competenza dell’abbazia è delimitato dai fiumi Livenza e Tagliamento, dal mare e dalla strada degli Ungari.

I monaci di Sesto entrano chiaramente in competizione con il vescovado di Concordia, che proprio sul dominio temporale dell’area compresa tra i fiumi Livenza e Tagliamento pone una sorta di «punto fermo» della sua rivendicazione verso il potere pubblico

L’episcopato di Concordia

Circondato dalle paludi e dal mare a sud e dal banno regio a nord, il vescovo concordiese scontava quindi l’impossibilità di attuare, senza il benestare dei sovrani carolingi, organiche strategie di sviluppo territoriale, limitandosi dunque a gestire le prerogative spirituali (con i privilegi economici ad esse connesse) su alcune pievi dell’area circostante la città. Troppo poco, nel complesso, per sostenere militarmente minacce esterne come le scorribande ungare, che - come si vedrà più diffusamente in seguito - per tutto il X secolo furono un fattore decisivo di indebolimento del vescovado che, nel quadro complessivo delle fonti, è una delle poche zone dove sicuramente si accanirono le cavallerie magiare.

In questo contesto di ragionamenti non può quindi essere considerato come completamente imprevedibile l'esito della riunione tra i marchesi ed i metropoliti veneti convocata a Verona il 12 febbraio 928 da re Ugo, in cui, dopo una articolata discussione, il re decise di porre la diocesi – in perpetuo - sotto il dominio sia temporale che spirituale del patriarcato di Aquileia

L’episcopato di Concordia è descritto come un territorio irrecuperabile, spopolato a seguito delle devastazioni degli Ungari che lo saccheggiarono a lungo in conseguenza della malvagità e dei molti peccati degli uomini (inrecuperabilia scilicet episcopia, que peccatis imminentibus a savissima ungarorum rabie pene usque ad solum depopulata diocesim Aquilegie pertinere videtur […]).

Concordia pagava inoltre dal VII secolo in poi la decadenza di quel ruolo commerciale che l’antica colonia romana di Iulia Concordia aveva avuto nell’estuario del portum Reatinum, e che consentì un certo periodo di sviluppo del settore manifatturiero con la costruzione di una celebrata fabbrica di frecce (da qui Concordia Sagittaria)

Le politiche del predecessore di Ugo, Berengario, più che un organico programma di difesa avevano consentito il rafforzamento di poche fortificazioni di pertinenza pubblica, piccoli nuclei di protezione affidati quasi esclusivamente al patriarca di Aquileia che diventava, soprattutto a seguito delle concessioni di fortificare Pozzuolo e la porta di Cividale, il principale interprete della difesa del Friuli dagli Ungari

 

 

 

 Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 1. 1858

Giuseppe Paludo, Gli Ungari e la via ongaresca, Progetto Integrato Cultura del Medio Friuli

Giovanni Roman, L’antica via Ongaresca, Atti e Memorie dell'Ateneo di Treviso, n. 32, 2014-15

S.Romanin, Storia documentata di Venezia, Tomo 1, 1853

Liruti. Notizie delle cose del Friuli. Volume 3

Francesco Palladio degli Olivi, Historia del Friuli, 1660

Luigi Schiaparelli, I diplomi di Berengario I,  Fonti per la storia d'Italia, n. 35. Diplomi, secoli IX e X., 1903

Luigi Zanin, L'EVOLUZIONE DEI POTERI DI TIPO PUBBLICO NELLA MARCA FRIULANA DAL PERIODO CAROLINGIO ALLA NASCITA DELLA SIGNORIA PATRIARCALE, tesi di Dottorato di ricerca in Storia sociale europea dal medioevo all'età contemporanea, Università Ca’ Foscari di Venezia

 

 



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