Le prime istituzioni feudali in Italia nascono con i Longobardi. L’Editto di Re Rotari apportò significative innovazioni soprattutto giuridiche.
La memoria di Rotari è legata soprattutto al celebre Editto, promulgato nel palazzo Reale di Pavia alla mezzanotte tra il 22 novembre ed il 23 novembre 643, con il quale codificò il diritto longobardo rimasto fino ad allora legato alla trasmissione orale.
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In breve, che cosa prevedeva l'Editto di Rotari?
L’Editto di Rotari rappresenta un documento legislativo fondamentale, promulgato nel 643 dal re longobardo Rotari. Questo editto è una collezione di norme di diritto penale e civile, mirate a regolamentare le relazioni tra i popoli Germani e Italici. L’intento era quello di facilitare l’integrazione culturale e linguistica, promuovendo l’uso del latino parlato e la transizione dalla fede ariana al cattolicesimo.
In particolare, l’Editto di Rotari introduceva un sistema legale che mirava a eliminare le faide, tipiche delle società germaniche, sostituendole con il pagamento di compensi pecuniari, noti come guidrigildo. Il guidrigildo era una somma di denaro che definiva il valore teorico di una persona, sia uomo che donna, e serviva come risarcimento adeguato per il danneggiato e i suoi familiari, calibrato in base al rango sociale dell’individuo leso.
I Feudi semplici censuali
Quando i Longobardi entrarono in Italia, Gisulfo istituì le basi di quello furono in seguito i feudi. All’epoca di Gisulfo, i Feudi erano semplicemente censuali. Le persone semilibere erano dette censuali in quanto avevano l’obbligo di pagare un censo alla Corte del Duca per la terra che coltivavano. Questi censi si chiamarono anche affitti di Corte.
Secondo il Sartori nel libro “Della storia de Feudi” , Gisulfo impose ai friulani, in riconoscimento del dominio che i Longobardi avevano acquisito per diritto di guerra, dei tributi. Questi tributi si mantennero tali anche sotto i patriarchi, che successero ai Longobardi nel dominio del Friuli e, successivamente, al governo veneto.
Quando ci fu il regime dei 36 duchi longobardi, un interregno che durò 10 anni, cambiò il tipo di potere nei ducati diventando ereditario. I duchi distribuirono le terre, come se fosse cosa propria, a parenti e amici. Esercitarono una sorta di diritto sovrano. Al posto del re, esercitarono il diritto sovrano di dare dei benefici a chi giurava fedeltà: vassallaggio.
In questo periodo, il regno venne diviso in tanti Principati quanti erano i baroni e i feudatari, indipendenti gli uni dagli altri. Costruirono sulla cima dei monti una enorme quantità di rocche e di castelli destinati non a una difesa dalle invasioni ma per difendersi dai nemici interni. I Duchi, disprezzando le leggi, attaccavano i loro vicini per razziare le ricchezze altrui.
L’imminente invasione dei francesi costrinse i Duchi ad eleggere un Re. Autari fu eletto re dagli stessi duchi nel 584, quando si resero conto che l'assenza di un potere centrale minacciava l'esistenza stessa del popolo longobardo nell'Italia. Autari ascese al trono in un contesto di forte frammentazione del dominio longobardo, sottoposto alla duplice pressione dei Franchi e dei Bizantini, eppure ottenne un deciso sostegno dai duchi, che gli assegnarono un tesoro pari alla metà dei propri beni.
Re Autari diede nuovamente importanza al trono ma non tutti i Duchi si piegarono al suo volere. I Duchi del Friuli, di Benevento e di Spoleto erano diventati molto potenti e negavano la sottomissione. Le lotte tra grandi vassalli e il Re continuavano. Nel 595, S Gregorio Magno racconta che le città e i castelli venivano saccheggiati. I cittadini, considerati parte del bottino, venivano venduti al mercato e talvolta barbaramente mutilati.
L’Editto di Rotari
Dopo diversi Re, nel 636 venne nominato Re Rotari.
Governò con energia e colpì con durezza i duchi che gli si opponevano, facendone eliminare molti; questo tuttavia non gli alienò il sostegno e l'affetto del suo popolo, che in lui ammirava il legislatore e, soprattutto, il guerriero. Anche il Ducato di Benevento, che durante il suo regno espanse a sua volta il suo dominio conquistando la Puglia e la città di Salerno, riconobbe l'autorità del re.
La memoria di Rotari è legata soprattutto al celebre Editto, promulgato alla mezzanotte tra il 22 novembre ed il 23 novembre 643, con il quale codificò il diritto longobardo rimasto fino ad allora legato alla trasmissione orale. L'Editto apportò significative innovazioni, come la sostituzione dell'antica faida (vendetta privata) con il guidrigildo (risarcimento in denaro), e limitò fortemente il ricorso alla pena capitale.
Il Codice di Rotari fu composto inizialmente da 390 ordinanze, successivamente venne aumentato di 193 articoli. Questo Codice puniva con la morte il furto e l’adulterio, mentre era meno severa con gli omicidi.
“Nel nome del Signore, io Rotari, eccellentissimo e diciassettesimo re della stirpe dei Longobardi, nell’ottavo anno del mio regno col favore di Dio, nel trentottesimo anno d’età, nella seconda indizione e nell’anno settantaseiesimo dopo la venuta in Italia dei Longobardi, dove furono condotti dalla potenza divina, essendo in quel tempo re Alboino, [mio] predecessore, salute. […] Il presente editto delle nostre disposizioni, che abbiamo composto con il favore di Dio, con il massimo zelo e con le massime veglie concesse a noi dalla benevolenza celeste, ricercando e ricordando le antiche leggi dei nostri padri che non erano scritte, e che abbiamo istituito, ampliandolo, con pari consiglio e consenso con i principali giudici e con tutto il nostro felicissimo esercito, quanto giova al comune interesse di tutta la nostra stirpe, abbiamo ordinato che sia scritto su questa pergamena, esaminandolo attentamente e tuttavia riservandoci questa [sola] condizione di dover aggiungere a questo editto quanto ancora saremo in grado di ricordare, consentendolo la divina clemenza, con un’accurata ricerca delle antiche leggi longobarde, sia da noi stessi sia grazie a uomini anziani; e inoltre anche confermandolo con il gairethinx, secondo l’uso della nostra stirpe, in modo tale che questa legge sia stabile e sicura, perché nei nostri felicissimi tempi e in quelli futuri sia conservata in modo stabile ed inviolabile da tutti i nostri sudditi. "
Almeno in teoria, scrive dunque Rotari (o Ansoaldo, o chi per lui), la legge va cercata nel passato, testimoniato dalla memoria degli antiqui homines, e l’autorità del re (sempre in teoria) è debole di fronte ad essa; pure se Rotari si riserva, nel prologo, la capacità di modificare per il bene dei suoi sudditi le leggi tramandate. In realtà siamo in presenza di un’operazione culturale più complessa di quanto non venga detto nelle righe del prologo e poi ribadito nell’epilogo.
Nel prologo Rotari fa un esplicito riferimento alla tradizione storico-mitica, inserendo un catalogo dei re, a partire dal leggendario Agilmundo, e poi affermando apertamente la sua subordinazione davanti alla forza di quella stessa tradizione. Egli vuole accreditarsi come l’interprete di una tradizionale regalità ‘nazionale’ longobarda che nessun re, prima di lui, aveva rivendicato: anzi, Agilulfo (come prima di lui Autari) aveva tentato di rivestire di tratti romani la sua regalità per rafforzarla.
L’Editto di Rotari è una raccolta di leggi di diritto penale e civile che fu emanata nel 643 dal re longobardo per regolare giuridicamente i rapporti tra Germani e Italici e agevolare il processo di fusione già avviato sia dal punto linguistico (utilizzo del latino parlato) che religioso (conversione dall’arianesimo al cattolicesimo). Le sue principali novità furono la sua messa per iscritto delle leggi, fino ad allora basata sull’uso della trasmissione orale, e l’influenza del diritto romano, riscontrabile ad esempio nell’introduzione di un unico giudice che sostituiva l’assemblea giudicante. Il re venne affiancato nelle funzioni giuridiche da un corpo di ufficiali civili magistrati (gastaldi) che lo rappresentavano nei vari territori del Regno e che amministravano la giustizia, curavano i beni e riscuotevano le tasse in suo nome. Nei ducati del Regno la nomina dei gastaldi spettava al sovrano di Pavia, mentre nei due ducati autonomi di Spoleto e Benevento essi erano nominati dai rispettivi duchi.
Emesso in un latino alquanto “rozzo” l’Editto costituisce un documento fondamentale per comprendere l’organizzazione socio-politica dell’Italia sotto la dominazione longobarda. La società germanica era un mondo tribale che faceva perno sulla figura degli “uomini liberi” (arimanni), ovvero coloro che combattevano e ai quali era permesso di prendere parte alle decisioni e alla vita politica. Lo stesso Editto fu sottoposto, prima della sua approvazione nel 643, al giudizio degli uomini liberi in un’apposita assemblea (“con il consenso e consiglio dei primi, dei giudici e di tutto il nostro valorosissimo esercito”).
La monarchia longobarda era elettiva.
il documento introduce in sostituzione della faida il guidrigildo, un sistema di multe che fissava un prezzo da pagare per ogni azione o danno che sia perseguibile a seconda della qualità/grado della persona
La pena di morte fu limitata – eccetto i casi ‘ovvi’ riguardanti “servi” contro “signori” – ai soli delitti contro la persona del re o contro chi avesse abbandonato i compagni sul campo di battaglia o avesse disertato o tradito.
Il grande vassallo, se uccideva o era mandante di un omicidio di un uomo libero, non poteva essere citato in tribunale se l’uccisione era stata comandata dal re.
Non poteva sfuggire alla pena capitale colui che faceva entrare nemici , abbandonava la patria o favoriva la migrazione di altri.
Se un grande vassallo tramava contro il re era soggetto alla pena di morte.
L’entità della pena era funzione al luogo ove il delitto veniva commesso: un medesimo crimine poteva essere assoggettato ad una ammenda di 40 soldi, o di 900 soldi, o alla pena di morte secondo che era stato commesso in una chiesa, nell’assemblea del popolo oppure nel palazzo reale.
Le leggi longobarde concedevano molti più privilegi ai longobardi rispetto ai romani. La schiava longobarda aveva un valore maggiore rispetto a quella romana. Ogni donna era per legge affidata alla tutela di qualche cittadino oppure direttamente a quella del principe.
L’uomo libero poteva prendere in moglie una schiava solo se la purificava con un rito, altrimenti veniva condannato a morte.
Non c’era distinzione tra animale domestico e schiavo.
Gli uomini liberi si dividevano in baroi, uomini di mediocre condizione e affrancati (aldiones, dal longobardo ald, uomo semilibero non ammesso alle assemblee popolari).
Gli aldiones si suddividevano in: fulfreel, uomini che potevano disporre solamente della propria persona; amund, persone che potevano possedere delle cose.
L’Editto concesse grandi vantaggi ai figli nati da nozze legittime contratte fra persone di pari condizione (fulbornet, proporzionate), Se c’era un unico figlio legittimo, i figli naturali avevano il diritto ad un terzo della eredità paterna.
Nella classe degli schiavi venivano distinti: i domestici (ministeriales) ai quali era stata data qualche educazione; i fattori di campagna (massarii); i lavoratori (rusticani). Compito degli ultimi era la coltivazione dei terreni e delle mandrie. I buoi, le pecore, le capre, i maiali avevano custodi separati. Quest’ultimi si suddividevano in maestri e novizi (discipuli). Gli schiavi domestici governavano i cigni, i falconi, i daini e altri animali, tutti allevati nei recinti dei signori.
Alcune leggi erano state prese dal diritto romani, come il peculio castrense e semicastrense.
In qualche modo l’Editto pensò anche alla condizione femminile. Pagava un’ammenda di 900 soldi chi tentava una donna libera, altrettanto che forzava una donna a sposarlo, chi aspettava 2 anni prima di sposare la sua donna.
Gli adulteri potevano essere uccisi dall’oltraggiato.
Chi diceva meretrice oppure strega ad una donna libera veniva considerato uno scellerato e doveva giurare, davanti a 20 testimoni, di averlo fatto per impeto di collera e doveva pagare 20 soldi. In caso contrario doveva sostenere la sua parola con il duello.
Alla morte del padre i figli avevano una uguale porzione di eredità. Se non c’erano figli, succedevano i parenti fino al settimo grado. Le femmine partecipavano con uguali diritti all’eredità.
All’interno dell’Editto ci sono anche ordinanze legate alle credenze popolari. Si crede alle streghe. I campioni, quando combattono, non posso avere erbe o altri malefici.
Nelle ammende fu posto un divario tra italiano e longobardo, tra uomo e donna. Le ammende per gli omicidi erano:
- un aldio altrui, 6 soldi;
- un servo o un ministeriale pratico di casa, 50 soldi;
- un servo rustico, 16 soldi;
- un servo bifolco, 20 soldi;
- un porcaio con due o tre allievi, 50 soldi;
- un uomo libero, 200 soldi.
L’ammenda, detta anche composizion, era la pena più generale. Molto spesso il reo non era in grado di pagarla, in tal caso veniva sostituita con altre pene, come le prigioni sotterranee, il tondere (tosatura), marchiatura con un ferro rovente, flagellare. Un terzo delle multe erano per i giudici.
L’arresto del reo veniva eseguito dai decani o saltarii, che lo passava allo sculdascio (in longobardo skuldheis "comandante ai debiti" ), e questi lo consegnava al giudice. Il malfattore scoperto in casa poteva essere arrestato da chiunque.
Il ladro al primo furto subiva due o tre anni di carcere sotterraneo, e se non poteva pagare l’ammenda veniva consegnato al derubato che ne faceva quel che voleva; al secondo furto il giudice lo tosava, lo picchiava e lo marchiava in fronte e in faccia; al terzo furto veniva venduto fuori provincis.
Gli abitanti delle città erano gravati di una doppia imposta, cioè una tassa diretta (salutes) ed una sull’industria.
Le leggi longobarde durarono per molto tempo, alcune di esse resistettero fino al 1450.
In realtà l’Editto di Rotari fu un atteggiamento nuovo, più che il recupero di una tradizione antica
Con il regno di Rotari si definiscono, per la prima volta, le basi economiche della regalità e al tempo stesso si delinea la fisionomia del sovrano come detentore della giustizia suprema. L’editto infatti codifica un sistema di multe diretto a incrementare la curtis regia, il fisco, che costituiva la base materiale del potere del re. Le multe sono calcolate in denaro, ma questo poteva essere ovviamente spesso sostituito da proprietà (innanzitutto fondiarie); nei casi più gravi poi era prevista la confisca dei beni, e il re poteva inoltre ereditare dagli stranieri morti all’interno del regno.
Il fisco rappresentava il mezzo con cui il sovrano poteva rimunerare gli ufficiali pubblici, visto che nell’Italia longobarda non era più in piedi un sistema di tassazione che potesse consentire di pagare i collaboratori del re. Fra questi ultimi, i gastaldi erano i referenti privilegiati dei sovrani, anche se nell’editto sono appena nominati. Anche i duchi sono nominati pochissimo.
Il fisco serviva inoltre per mantenere la corte (il palatium), oltre ad essere un utile strumento per la costruzione di una clientela pubblica attorno al sovrano, sparsa in tutto il regno.
Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 1. 1858
Bernardino Zanetti, Del regno dei longobardi in Italia, 1753
Gio Battista Sartori, Della storia dei feudi e della legislazione, miglioramento e svincolo assoluto de’ medesimi nelle Venete Province, 1852
Stefano Gasparri, Il potere del re, Studi su istituzioni e società nel medioevo europeo, 2017.
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