La nomina di Ulrico di Eppenstein a Patriarca di Aquileia da parte di Enrico IV
La figura di Ulrico di Eppenstein, patriarca di Aquileia dal 1086 al 1121, e il suo ruolo nel contesto politico e religioso dell'Europa medievale. La battaglia della Nebbia.
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La figura di Ulrico di Eppenstein, patriarca di Aquileia dal 1086 al 1121, e il suo ruolo nel contesto politico e religioso dell'Europa medievale. Ulrico, appartenente alla potente famiglia bavarese degli Eppenstein, fu un fedele alleato degli imperatori Enrico IV e Enrico V, schierandosi apertamente contro i sostenitori della riforma gregoriana.
La figura di Ulrico si inserisce all'interno della complessa lotta per le investiture, che contrappose il papato e l'impero per il controllo sulla nomina dei vescovi. Il patriarca di Aquileia, ricevendo il pallio dall'antipapa Clemente III e sostenendo attivamente le politiche imperiali, si guadagnò la scomunica papale.
L'analisi si concentra sulle azioni politiche di Ulrico, sulle sue alleanze e sui conflitti in cui fu coinvolto, evidenziando il suo ruolo di protagonista nelle vicende italiane del suo tempo. In particolare, si approfondisce il suo coinvolgimento nella battaglia della Nebbia e nelle guerre contro Matilde di Canossa.
In breve. Il periodo storico di Enrico IV e il rapporto con il patriarca di Aquileia
Enrico IV, Imperatore del Sacro Romano Impero, affrontò la lotta per le investiture. Fu scomunicato e poi perdonato a Canossa nel 1077. La lotta per le investiture si riferiva al conflitto tra la Chiesa e l’Impero sul diritto di investitura dei vescovi
La scomunica di Enrico IV da parte di Papa Gregorio VII lo portò al castello di Canossa, dove, ospitato da Matilde di Canossa, cercò di ottenere la revoca della scomunica.
In questo periodo storico, Enrico IV riuscì a convincere Sigeardo, il Patriarca di Aquileia, a ritornare dalla sua parte, dopo che inizialmente aveva sostenuto il Papa. Per la sua lealtà, Enrico IV elevò Sigeardo a principe, un gesto che segnò la fondazione della Patria del Friuli, un principato ecclesiastico sotto l’egida del Sacro Romano Impero.
Dopo la morte di Enrico IV, il Friuli e il Patriarcato di Aquileia rimasero entità politico-religiose autonome fino al 1420. Successivamente la regione iniziò a far parte della Repubblica di Venezia, segnando la fine dell’influenza diretta del Sacro Romano Impero.
Il fuoco sacro, la pestilenza che si diffuse in Europa
Nel 1089 un nuovo morbo si propagò in Europa, chiamato “il fuoco sacro”.
Siamo in pieno Medioevo e si legge dalle cronache: “Migliaia di persone sono colpite da un male strano, si manifestava con convulsioni o cancrene precedute da forme di allucinazione. Essa può portare a morte o a perdita di membra per effetto della cancrena e con grandi sofferenze”.
Un cronista del 1089, Sigiberto di Gembloux così la descrive: “a molti le carni cadevano a pezzi, come se li bruciasse un fuoco sacro che divorava le loro viscere. Le membra a poco a poco rose dal male diventavano nere come il carbone. Morivano rapidamente tra atroci sofferenze, oppure continuavano, privi di piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte”.
Sono le prime cronache che conducono ad una affezione dovuta a tossine alimentari, in particolare micotossine generate da funghi. La medicina del tempo è impotente e allora si ricorre al trascendente, in particolare a Sant’Antonio in quanto i pellegrini del Nord Europa che mangiavano normalmente pane di segale e che andavano a Roma quando erano malati, venivano accolti al di qua delle Alpi in conventi-ospedali dove operava l’ordine ospedaliero degli “antoniani” di Sant’Antonio Abate. Qui potevano mangiare pane di frumento o farro, non immuni dalle micotossine anch’essi, ma molto meno infetti e quindi i poveri sventurati trovavano subito un certo sollievo, facendoli ritenere miracolati dal Santo. È da qui che deriva la seconda denominazione dell’ergotismo in “Fuoco di Sant’Antonio” o “Male degli ardenti”.
Il monaco Ademar de Chabanne (988-1034) in relazione ad alcuni avvenimenti capitati nel Limousin francese, parla di un’epidemia che ha fatto morire 40.000 persone, mentre a Parigi nel 1029 un’epidemia di ergotismo ha causato 14.000 decessi. Le annate dell’XI sec. nelle quali l’ergotismo fu particolarmente virulento sono ben cinque: 1029 appunto, 1042, 1076, 1089 e 1094.
La linea del tempo
(azzurro) Imperatori del Sacro Romano Impero, (giallo) papa in carica, (rosso) margravio di Verona, (arancione) patriarchi di Aquileia, (viola) dogi di Venezia, (verde) patriarchi di Grado, (rosa) duchi di Carinzia. Clicca sull’immagine per ingrandire
Enrico IV nomina Ulrico di Eppenstein a patriarca di Aquileia
Durante il 1086, forse in occasione della dieta radunata di nuovo a Magonza nell’aprile, fu nominato quale nuovo patriarca d’Aquileia Ulrico di Eppenstein, fratello del duca di Luitoldo e di Enrico marchese d’Istria e Carniola. Il nuovo eletto da dieci anni teneva l’abbazia di san Gallo nonostante le aspre lotte che vi dovette sostenere, e ne conservò il governo sino alla morte.
Ulrico era di nobile famiglia di origini bavaresi, appartenente alla stirpe degli Eppenstein: Ulrico era infatti figlio di Markwart IV di Carinzia, conte d'Istria e Gorizia e la Liutbirg di Planburg. Egli ebbe tre fratelli: Liutpoldo, Enrico e Ermanno; attraverso suo bisnonno Ermanno II di Svevia era imparentato con Enrico IV.
Prima di diventare patriarca Ulrico fu abate di San Gallo (dal 1077), dove conobbe Bertoldo I, il predecessore di suo padre al trono di Carinzia, deposto dall'imperatore per aver supportato una rivolta ai suoi danni. Dal 1079 Ulrico divenne anche abate dell'abbazia di Reichenau.
Ulrico, come tutti i suoi, era devotissimo ad Enrico IV che probabilmente lo elesse per avere più forza contro Gebardo arcivescovo di Salisburgo ed Altmanno vescovo di Passau capi della riforma gregoriana in Germania
Nel 1086 viene nominato patriarca di Aquileia, mentre i suoi fratelli vengono nominati capi di distretti vicini (Liutpoldo margravio di Carinzia e di Verona ed Enrico margravio d'Istria e poi di Carinzia alla morte del fratello). Ulrico riottiene nel 1093 il margraviato della Carniola da Enrico IV e da Ulrico II di Weimar diversi monasteri in Istria.
Nel 1093-1094 anche il vescovado di Pola, seguì le sorti di quelli di Trieste e di Parenzo e fu assoggettato al Patriarcato nelle medesime condizioni.
Ulrico, il patriarca ghibellino
Dopo la morte, nel 1077, di Sigeardo di Beilstein, anche i patriarchi Enrico (Heinrich von Biburg, 1077-1084), Federico di Moravia, unico patriarca slavo (1084-1085), Ulrico (Ulrich von Eppenstein, 1085-1121), si mantennero fedeli alla politica di Enrico IV e successivamente del figlio Enrico V, schierandosi contro i “gregoriani”, anche quando gli imperatori scesero di nuovo in lotta contro il papa.
Il patriarca Ulrico, della potente famiglia degli Eppenstein venne scomunicato da papa Urbano II per aver ricevuto il pallio dall’antipapa Clemente III. Anch’egli fu devotissimo a Enrico IV, che seguì in Italia durante le guerre contro Matilde di Toscana (1090-1097) e cercò di riappacificare il figlio ribelle, tanto che dopo la morte di Enrico IV sostenne il figlio Enrico V nella sua spregiudicata azione contro papa Pasquale II, quando l’imperatore lo sequestrò, diventandone il carceriere e meritandosi una seconda scomunica.
La battaglia della Nebbia
La Battaglia della Nebbia fu un importante scontro tra gli eserciti dell’Imperatore tedesco Enrico IV e di Matilde di Canossa. La battaglia avvenne nell’ottobre 1092 a causa del tentativo di Enrico IV di espugnare la rocca di Canossa.
Fu una battaglia importante nell’ambito della “Lotta per le investiture” (la scelta e l’ordinazione dei vescovi) che contrappose il Papato e l’Impero durante i secoli XI e XII. Dopo quella sconfitta l’imperatore Enrico IV abdicò a favore del figlio Enrico V, che nel 1111 incoronerà Matilde di Canossa a Vicaria Imperiale d’Italia presso il Castello di Bianello.
Donizone da Canossa, fedele biografo di Matilde, nella sua opera intitolata “Vita Mathildis” riferisce che Enrico IV era convinto di poter cogliere di sorpresa la rocca di Canossa. Ancora era impressa nella sua mente la famosa umiliazione subita nel 1077, quando si recò in penitenza a Canossa per incontrare Papa Gregorio VII e ottenere la revoca della scomunica legata alla lotta per le investiture. L’imperatore pensava che fosse finalmente arrivato il tempo della vendetta. La Contessa e le sue milizie erano già radunate a Canossa. Appena seppe che Enrico IV marciava verso San Polo, lasciò a presidio della rocca il marito Guelfo e una parte delle forze, mentre con le altre mosse lei stessa verso il Castello di Bianello.
Quando poi le trombe di Enrico IV iniziarono a chiamare l’esercito all’assalto, e mentre già l’abate Giovanni coi monaci salmodiava invocando tutti i santi a proteggere la rocca, ecco stendersi per l’aria, d’improvviso, una fittissima nebbia.
Le milizie della Contessa, che ben conoscevano il territorio, combatterono coraggiosamente ed il nemico era bersagliato da dardi e frecce. La perdita del vessillo segnò l’inizio del declino dell’Imperatore, e proprio da allora prese consistenza il soprannome di Perdicause.
L’imperatore decise la ritirata verso Bibbiano. Dopo aver trascorso la notte a Bibbiano, Enrico IV si affrettò a raggiungere il fiume Po, passandolo il mattino seguente.
Corrado, figlio di Enrico IV, si ribella al padre
Nel 1087, Enrico fece incoronare suo figlio Corrado re ad Aquisgrana, nel tentativo di assicurarsi la successione della stirpe salica. Nello stesso anno morì sua moglie Berta. Il 14 agosto 1089 l'imperatore sposò a Colonia Prassede (Adelaide), figlia del granduca Vsevolod I di Kiev.
Nella primavera del 1093 suo figlio primogenito Corrado si ribellò al padre e l'anno successivo la sua seconda moglie Adelaide fuggì presso i suoi avversari italiani. Corrado si fece incoronare re d'Italia a Milano nel 1093 e prese contatto con papa Urbano II, che gli promise la corona imperiale.
Sposando una figlia del conte normanno Ruggero, Costanza, Urbano lo integrò pienamente nella rete papale. Tuttavia, l'anti-regalità di Corrado in Italia rimase priva di significato nella parte settentrionale dell'impero.
La parte gregoriana, tuttavia, poté approfittare della fuga e del cambio di partito di Adelaide: essa si presentò al concilio di Piacenza all'inizio di marzo 1095 e si lamentò pubblicamente «degli oltraggiosi abomini di fornicazione che aveva sopportato con suo marito». Il salico fu scomunicato di nuovo a causa delle suddette accuse.
Contemporaneamente le città di Milano, Cremona, Lodi e Piacenza fanno lega contro Enrco IV alleandosi alla contessa Matilda e al duca Guelfo V.
Enrico ricevette appoggio solo da Aquileia e Venezia. I veneziani ricevettero un ampio privilegio commerciale per il loro sostegno da Enrico.
Nel 1105, il patriarca Ulrico si recò in Germania con l’intento di mettere fine alle lotte tra Enrico il giovane e il padre Enrico IV. Ulrico esortò Enrico IV a riconoscere i suoi errori ed a pacificarsi colla sede romana cioè con papa Pasquale II; e, dopo avere celebrata la Pasqua a Magonza, se ne tornò ad Aquileia.
Enrico IV morì il 7 agosto 1106.
Enrico IV visita Venezia
Ad Enrico IV, dopo aver perso alcune città lombarde, doveva mantenere l’amicizia con Venezia. Rinnovò le precedenti concessioni e mostrò il desiderio di recarsi a Venezia in occasione del digiuno di tre giorni e della processione per ritrovare le spoglie di San Marco.
Le reliquie era state smarrite durante l’incendio della chiesa nella rivolta popolare contro Pietro Candiano IV. Successivamente la chiesa fu restaurata e intitolata a San Marco. Il doge Vital Falier, in accordo con il clero, indisse tre giorni di digiuno per implorare la divina clemenza la rivelazione del sacro deposito di San Marco.
Era il 25 giugno quando, durante la messa caddero dei calcinacci dall’altare di San Giacomo rivelando il luogo dove era nascosto San Marco.
In occasione dell’evento religioso del 1094, Enrico IV si recò a Venezia
La prima crociata
Nel frattempo, Urbano fu in grado di viaggiare nel sud della Francia e dare il via alla prima crociata.
La prima crociata (1096-1099) fu la prima di una serie di spedizioni armate che tentarono di conquistare Gerusalemme e la Terra santa, invocata da papa Urbano II nel corso di un'omelia tenuta durante il Concilio di Clermont nel 1095. Essa iniziò come un vasto pellegrinaggio armato della cristianità occidentale obbediente alla Chiesa di Roma per riconquistare la Terra santa, caduta sotto il controllo dei musulmani durante la prima espansione islamica. La crociata terminò nel 1099 con la presa di Gerusalemme.
Fra queste aggrovigliate vicende, i patriarchi non trascurarono il governo del Friuli, al contrario approfittarono delle circostanze per rafforzare la compattezza e la potenza del loro feudo. Ulrico in particolare, ottenne la solenne conferma dei decreti del 1077 e riebbe la marca della Carniola (inferiore) che dopo la morte di Sigeardo, era stata data assieme all’Istria, a suo fratello Heinrich von Eppenstein (in seguito sarebbe passata agli Andechs nel 1173). Il patriarca Ulrico promosse inoltre lo sviluppo morale e materiale attraverso fondazioni monastiche, alcune delle quali furono istituite da lui stesso.
Il casato degli Eppenstein
Il casato degli Eppenstein fu una nobile famiglia del Sacro Romano Impero, particolarmente influente tra il X e il XII secolo. Originari della Carinzia, i membri di questa famiglia ricoprirono importanti ruoli politici e religiosi.
Uno dei membri più noti fu Ulrico di Eppenstein, che divenne patriarca di Aquileia nel 1086. Ulrico era figlio del conte Marquardo e di Liutbirg, e la sua famiglia aveva legami stretti con l’imperatore Enrico IV. La famiglia Eppenstein si estinse nel 1122 con la morte di Enrico, e i loro possedimenti passarono ai conti di Sponheim.
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