Il primo a proporre una teoria della luce che prevedesse un valore finito per la sua velocità fu il greco Empedocle
Nel 450 a.C. circa, Empedocle di Agrigento fu il primo a proporre una teoria della luce che prevedesse un valore finito per la sua velocità
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Aristotele cita Empedocle nel secondo libro di Dell’anima:
Empedocle (e con lui tutti coloro che si sono espressi in tal modo) sbagliano quando parlano della luce come se ‘viaggiasse’ o fosse, in qualche momento, tra la Terra e il suo involucro, il suo moto inosservabile a noi: questa visione è contraria sia alla chiara evidenza della ragione sia ai fatti osservati; poiché se la distanza attraversata fosse corta, il movimento potrebbe essere inosservabile. Ma che sia inosservabile sulla distanza dall’estremo Oriente all’estremo Occidente è pretendere troppo.
Guardiamo l’alba e la luce è già dietro di noi, fino all’orizzonte: per Aristotele, quindi, era infinitamente rapida. Questo dimostra più che altro le difficoltà di Aristotele con una velocità molto, molto grande, eppure rimase lo standard ufficiale sulla questione per numerosi secoli. Che la luce possa superare senza spendere alcun tempo gli enormi spazi celesti? Difficile da concepire. Ma se la luce viaggia a una velocità finita, allora tutto ciò che vediamo è il passato: vediamo le cose non come sono, ma come erano. Francis Bacon, che pure sosteneva la velocità infinita della luce, nell’aforisma 46 del Novum Organum tentenna:
…mi suggerisce un curioso dubbio, ovvero se vediamo la volta di un cielo stellato nell’istante effettivo in cui esiste, e non poco dopo; e se non ci sia, per i corpi celesti, un tempo reale e un tempo apparente, così come il luogo apparente e il luogo reale di cui tengono conto gli astronomi quando correggono la parallasse. È difficile da credere che l’immagine o i raggi dei corpi celesti possano arrivare alla vista istantaneamente attraverso uno spazio così immenso.
Storia della velocità della luce, Il tascabile
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