Poppone, patriarca di Aquileia, e il conflitto con Grado.

Poppone, citato anche come Poppo o Popone  è stato un patriarca cattolico tedesco dal 1019 al 1042. Ricordato come uno dei più importanti patriarchi di Aquileia. Nel 1024 riprese le ostilità nei confronti di Grado

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Argomenti trattati

Il patriarca Poppone e la guerra tra Aquileia e Grado

   Introduzione

   La rivalità tra il patriarcato di Aquileia e quello di Grado

   Lo scontro con Grado

   Papa Giovanni XIX decide le sorti di Grado

   Il conflitto tra Grado e Aquileia continua



Introduzione

Il patriarca Poppone fu una figura importante agli inizi dell’XI secolo per il patriarcato di Aquileia.

Il patriarca Poppo decise di riprendere i tentativi dei suoi predecessori contro Grado. Gli imperatori sassoni avevano un rapporto amichevole verso Venezia, ma con l’instaurarsi di una nuova dinastia in Germania Poppone decise di cambiare la sua politica nei confronti della Serenissima.

Nel 1027 il papa Giovanni XIX sentenziò che il patriarcato d’Aquileia doveva riguardarsi come capo e metropoli delle chiese d’Italia e come secondo dopo la Sede Romana

L’epoca di Enrico II il Santo. (azzurro) Imperatori dei romani, (blu) Re d’Italia, (giallo) papa in carica, (rosso) margravio di Verona, (arancione) patriarchi di Aquileia. Clicca sull’immagine per ingrandire

La rivalità tra il patriarcato di Aquileia e quello di Grado

Il rapporto tra il patriarcato di Aquileia e quello di Grado è stato, nel corso della storia, complesso e mutevole. I due patriarcati, infatti, hanno condiviso una lunga storia comune, ma hanno anche avuto periodi di rivalità e conflitto.

Entrambi i patriarcati nascono dalla Chiesa di Aquileia, che fu fondata nel I secolo d.C. Nel corso del IV secolo, la Chiesa di Aquileia divenne una sede metropolitana, con giurisdizione su un vasto territorio che comprendeva l'Italia nord-orientale, la Slovenia e l'Istria.

Il patriarcato di Grado spalleggiava Venezia e i Bizantini mentre il patriarcato di Aquileia aveva una forte influenza germanica.

I due patriarcati rivaleggiarono per il controllo del territorio e del prestigio. La rivalità raggiunse il suo apice nel X secolo, quando il patriarca Poppone di Aquileia tentò di conquistare Grado.

La rivalità tra i due patriarcati ebbe un impatto significativo sulla storia del Friuli e dell'Istria.

Lo scontro con Grado

Con la morte di Ottone III (nel 1002) si aprirono conflitti sia in Germania, per la scelta del successore, sia in Italia, per una parte dell’aristocrazia che voleva rompere la subordinazione al regno tedesco.

I conflitti si conclusero con la discesa in Italia del nuovo re di Germania Enrico, duca di Baviera e cugino di Ottone III che nel 1004 riconquistò la corona italica. Nel 1014 prese la corona imperiale con il nome di Enrico II.

Sin dai primi tempi Poppone si dimostrò un fedelissimo di Enrico. Infatti nel 1021-22, alla testa di un contingente, prese parte alla spedizione imperiale in Italia meridionale.

Incaricato da Enrico II, Poppone condusse un corpo di 15.000 combattenti attraverso la marca di Camerino fin sotto le mura di Troia che fu assediata.

Enrico II morì il 13 luglio 1024 e 1’ 8 settembre fu incoronato re a Magonza Corrado II il Salico.

Dopo la morte di Enrico II, Poppone riuscì ad avere legami altrettanto forti con Corrado II.

Nel 1018 morì Vitale Candiano patriarca di Grado, figlio del doge veneziano Pietro Candiano. Il patriarcato di Grado fu assegnato a Orso Orseolo, già vescovo di Torcello.

Orso era figlio del doge Pietro II (in carica 991 al 1009) e di sua moglie Maria e fu destinato alla carriera ecclesiastica. Gli Orseolo ambivano ad occupare le principali cariche del Ducato di Venezia: dei suoi fratelli e sorelle, due vennero nominati dogi, gli altri assunsero il vertice delle diocesi e dei monasteri più importanti.

La gestione della nuova sede fu tutt'altro che facile. Infatti, quando Enrico II affidò il patriarcato di Aquileia a Poppone il quale, forte del sostegno imperiale, cominciò ad avanzare pretese su Grado. In realtà, sin dal VI secolo le due sedi rivendicavano il ruolo di sede metropolitana della Venezia e Istria, riflettendo i secolari scontri tra un partito filo-bizantino (e quindi filo-veneto) e un partito filo-longobardo divenuto successivamente filo-franco.

La dinastia dei sassoni si era dimostrata benevola nei confronti di Venezia. Ma alla morte di Enrico II ci fu un cambio di dinastia ed rapporti con Venezia erano cambiati.

Poppone decise di riprendere i tentativi dei suoi predecessori contro Grado.

A questo si aggiunse un ulteriore fattore favorevole al patriarca di Aquileia: Ottone Orseolo, doge di Venezia, e suo fratello Orso, patriarca di Grado, erano stati cacciati a causa una sollevazione popolare. Approfittando di questa circostanza, Poppo « si presentò dinanzi a Grado, esigendo che quei cittadini lo accettassero come difensore del patriarca di Grado suo confratello e del doge suo amico. Non avendo voluto essi consentire, confermò con giuramento proprio e di otto dei suoi... di voler entrare in città solo per conservarla a vantaggio del doge e del patriarca suo fratello ».

Ma una volta entrato, Poppo dimenticò il suo giuramento, depredò le chiese, tolse le reliquie che potè trovare, mentre i suoi saccheggiavano i monasteri.

Dopo questo fatto, per mezzo di legati, chiese dal papa « la conferma di tutti i suoi possessi... ed in particolare dell’isola di Grado ».

 

In azzurro indicata una parte della zona di influenza di Venezia ossia la zona lagunare (i confini sono solo indicativi).

Il patriarca Poppo ed il suo assalto contro Grado nel 1024 in un racconto bavarese.

Di quest'impresa ci è conservata una breve relazione nella lettera di Giovanni XIX ad Orso patriarca di Grado del dicembre 1024; ma, come ben si comprende, in senso del tutto sfavorevole a Poppo I.

Un' altra narrazione di quel fatto si ha nella storia della traslazione delle reliquie di s. Anastasia da Verona al monastero di Benediktbeuern in Baviera, scritta nel 1053. Questo curioso documento non ci presenta i fatti con esattezza storica, ma quali si raccontavano al tempo dello scrittore, abbelliti o deformati con il passaparola, aggiungendo un carattere avventuroso e fantastico alle narrazioni storiche.

Lo scrittore racconta inizialmente  il martirio di s. Anastasia, condotta ad insulas Palmarias e portata al rogo. Egli doveva in qualche modo sapere che le reliquie di s. Anastasia si trovassero a Grado, e si facilitò il compito in modo molto semplice: identificò le isole Palmarie con Grado.

« Avvenne che sorgesse fra i cittadini Palmariesi ed il vescovo della città di Aquileia una forte contesa ed una persecuzione grave ad ambedue i popoli. Turbati dunque i cittadini di Aquileia per questa difficoltà e circondati all' improvviso da ogni parte dall' esercito dei Palmariesi, alla fine tutto rimase purtroppo conturbato, i castelli furono presi, trucidati uomini, donne, fanciulli, devastati i campi, tagliate le vigne, rapite tutte le cose occulte e non occulte » ed in questo disastro furono pure rubate le reliquie dei ss. Ermagora e Fortunato e trasportate ad supradictas insulas; e di ciò rimasero disperati gli Aquileiesi, « non sapendo che fare, perché non avevano forza alcuna di ribellarsi »

La tradizione locale attribuisce la traslazione delle reliquie dei martiri da Aquileia a Grado ai patriarchi Paolo (569) e Primigenio (647); ma l'autore confonde qui le invasioni barbariche che turbarono il Friuli con le incursioni dei Veneto -Bizantini contro la terraferma. Furono piuttosto i duchi ed i patriarchi del Friuli a tentare più volte di occupare Grado.

« Molto tempo dopo avvenne per volere di Dio che diventasse vescovo in Aquileia un tale di nome Poppo della provincia Norica, nato di nobile stirpe, potente per ricchezza e più ancora per sapienza, bene erudito nelle lettere e non poco dotto nelle altre arti.

Anch'egli dopo non molto tempo dacché si trovava là, senti grande dolore d'essere stato privato del patrocinio dei sopradetti martiri. Ne pensò una di nuova. Fingendo di voler fare del bene a costoro, decise di concludere pace ed alleanza, non col cuore e coll'opera, ma soltanto colle parole e col mercanteggiare; e per riuscire meglio al suo scopo, mentre tutte le cose, in grazia della pace, volgevano al meglio ed ambo i popoli erano contenti di quanto avveniva, comandò ai suoi di rendersi amici quei perfidi col mercanteggiare, ed andava dicendo dì volersi fare amici quelli che i suoi antecessori tenevano per nemici. Ed essi, ubbidienti ai suoi comandi, portando un po' alla volta colà le loro merci e stringendo con costoro fermi patti, trasportavano colà vino nelle botti, frumento nei sacchi, olio nei vasi, e molte altre mercanzie che i mercanti sogliono trasportare. Avendo spesse volte fatto cosi ed esplorata quindi assai bene la posizione, allora il sopradetto vescovo raccolse soldati dappertutto e li interrogò ad uno ad uno e promise molto, se avessero fatto come loro avrebbe insegnato; e disposta bene ogni cosa, fece approntare quaranta grandi botti e vi mise dentro soldati armati di corazze elmi, scudi e dardi e di tutto ciò che è necessario alla guerra. Agli altri ordinò che andassero come per fare commercio, e sulla sera entrassero nel castello e sulla mezzanotte aprissero le botti, ne cavassero i soldati e poi dessero fuoco a tutto. Egli poi promise di essere pronto a recare aiuto»

« Gli incaricati fecero quant’era loro comandato, vennero nel castello con quest'apparato, e secondo le istruzioni se ne stavano alI'amichevole entro le mura. Verso la mezzanotte trassero i soldati dalle botti ed occuparono colla forza tutte le mura. All'indomani, mentre quei del castello si alzavano per recarsi ai fatti loro, come di solito, senza sospettare nulla di male, si videro all' improvviso circondati da grandi pericoli; cioè o d'essere bruciati vivi, o d'essere passati a fil di spada. Il vescovo, come aveva promesso, non era molto lontano; e quando vide preso il castello dai suoi, usci dalle insidie per aiutarli; e venuto subito là, mise tutti in fuga, distrusse il castello, bruciò gli altri edifici, riusci vittorioso con preda e gloria, mentre i suoi si dividevano fra loro le spoglie ».

Poppo si recò subito alla chiesa, dove trovò le reliquie dei santi Ermagora e Fortunato e con esse trasferì pure quelle di s. Anastasia vergine  e di altri ventiquattro martiri.

Papa Giovanni XIX decide le sorti di Grado

Dopo questo fatto, per mezzo di legati, Poppone chiese dal papa « la conferma di tutti i suoi possessi... ed in particolare dell’isola di Grado ». Papa Giovanni XIX, udite le ragioni addotte, non sospettò che che ci fosse un inganno e, ricordando che Orso, chiamato da Benedetto VIII a Roma ad un concilio, non si era presentato con il pretesto di essere in pericolo, aveva concesso il privilegio richiesto, inserendovi anche il possesso di Grado, purché a tal proposito fossero provati i diritti. Poppo non si assoggettò a presentare tali prove.

Il papa ricevette ben presto anche le proteste di Orso. Per chiarire la situazione richiese la presenza di entrambe le parti a Roma davanti ad un concilio.

Poppo inviò come suo legato un monaco non munito della dovuta delegazione, Orso invece si presentò in persona dinanzi al concilio raccolto nella chiesa di s. Silvestro.

Esaminati gli antichi privilegi dei papi, Giovanni XIX decretò che Poppo non doveva più molestare Orso ed i suoi successori a proposito del patriarcato di Grado e dei suoi possedimenti.

Il conflitto tra Grado e Aquileia continua

Il conflitto, tuttavia, era lungi dal finire. Nel 1026 Corrado il Salico, già re di Germania,  viene incoronato re d’Italia il 26 marzo 1027. In questa circostanza, come di solito, si tenne un sinodo a Roma.

Giovanni XIX chiamò anche Orso di Grado. Al sinodo che si radunò il 6 aprile, insieme ai vescovi della provincia romana ed agli arcivescovi tedeschi, comparve anche un gruppo di vescovi «Veneciae Provinciae», cioè Giovanni di Verona, Alberico di Como, Elmengero di Ceneda, Teobaldo di Vicenza, Rotario di Treviso, Alburno di Belluno ed alcuni abati. Il patriarca Orso non intervenne. In questa sede Poppo rivendicò, basandosi sul concilio di Mantova dell’ 827, il possesso della pieve di Grado con le sue pertinenze, che spettava di diritto alla chiesa d’Aquileia.

Una lettera, diretta dal papa a Poppo nel settembre 1027, confermò la sentenza del concilio ed anche i privilegi concessi alla chiesa d’Aquileia da S. Pietro principe degli apostoli, da Eugenio, da Gregorio e dagli altri suoi predecessori e particolarmente quello per cui il patriarcato d’Aquileia doveva riguardarsi come capo e metropoli delle chiese d’Italia e come secondo dopo la Sede Romana; confermò il possesso delle chiese, dei monasteri e degli altri beni ed in particolare « l’isola chiamata Grado la quale con barbarico impeto era stata sottratta alla stessa chiesa d’Aquileia e portava il falso nome di patriarcato e sulla quale avevano proclamato il loro diritto molti antecessori vostri » nei tempi precedenti

In tal modo Giovanni XIX nel 1027 sentenziava in senso apertamente contrario a quanto aveva deciso nel 1024.

Poppone, infatti, ottenne un diploma che dichiarava che “quel patriarcato a lui soggetto e che Grado era stata indebitamente considerata fino allora come metropoli ecclesiastica della Venezia.” Secondo il Liruti era inclusa anche la provincia di Venezia.

Contemporaneamente Poppone ottenne dall’imperatore Corrado l’investitura del Ducato del Friui e del Marchesato dell’Istria con il diritto di coniare moneta 

 

Pio Paschini, Storia del Friuli, vol. 1, 1935

Mem. Stor. Forogiul. X (1914), p. 93 sgg.

Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 2. 1858

S.Romanin, Storia documentata di Venezia, Tomo 1, 1853

Kandler, Codice diplomatico istriano, vol 1, anni 50-1194

 Francesco Spessot, La figura e l'opera del patriarca Poppone, La Panarie, a.8, n.45 (mag.-giu. 1931) - P. 155-159

Francesco Palladio degli Olivi, Historia del Friuli, 1660

Kurze Fragen aus der politischen Historia biß auf gegenwärtige Zeit, Volume 3, Johann Hübner, (1700)



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